Storie Web martedì, Marzo 18
Notiziario

Ci sono due asset che segnalano i cambi di passo a livello economico. Petrolio e oro. Il secondo però sembra al momento essere poco influenzato dalle intemperanze del presidente degli Usa, Donald Trump. È da tempo, ben prima dell’elezione presidenziale americana di novembre, che il metallo giallo ha messo a segno un tumultuoso rally che lo ha portato oggi poco lontano dai 3mila dollari l’oncia.

Chi invece sembra invece patire l’effetto Trump è il petrolio. La potenziale recessione in arrivo negli States, benché vi siano pareri discordanti in merito, potrebbe avere conseguenze importanti sul prezzo del greggio che già adesso non gode di buona salute.

C’è spazio per acquisti?

Gli stop-and-go di Trump stanno mettendo sotto stress l’economia Usa e anche quella di Oltreoceano. Cosa può accadere a questo punto? «Per il momento, dal punto di vista macro, l’economia non sembra andare verso la recessione – rileva Renato Viero, consulente finanziario autonomo –, ma se una recessione dovesse manifestarsi a seguito degli interventi dell’amministrazione Trump in economia, è lecito immaginare che il petrolio potrebbe entrare in un trend negativo». Un’ulteriore discesa del prezzo si prospetta dunque per il greggio. «Siamo a un livello interessante perché negli ultimi cinque anni, nel periodo post Covid, il prezzo del petrolio ha sempre trovato supporto in area 60 dollari. Bisogna vedere se anche stavolta andrà così. A quel punto, l’attuale fase di ipervenduto potrebbe trasformarsi in un’occasione di acquisto nel breve termine».

Greggio e profitti

Oggi il Brent, il petrolio del Mare del Nord, viaggia intorno ai 71 dollari al barile. Bisogna quindi tenere d’occhio quota 60 dollari. Un livello importante anche per Hannes Loacker, gestore azionario mercati sviluppati di Raiffeisen Capital Management: «Un livello di prezzo del petrolio pari a 60 dollari al barile di Brent, consente ancora alla maggior parte delle società di ottenere rendimenti molto elevati che, da un punto di vista puramente reddituale, senza considerare altri temi come la transizione energetica o gli aspetti di sostenibilità, potrebbero essere utilizzati come argomento contro l’uscita da questa asset class».

“Drill baby drill”

A giocare la partita del greggio, ovviamente non c’è soltanto Trump ma pure gli altri Paesi produttori di petrolio. «I Paesi Opec+ hanno deciso di ridurre gradualmente i tagli alla produzione a partire da aprile – ricorda Loacker –. Sebbene rimanga incerta l’entità della produzione aggiuntiva di petrolio che questi Paesi apporteranno al mercato, i segnali stanno diventando sempre più chiari: il mercato petrolifero rimarrà ampiamente sovraccarico per tutto l’anno». E aggiunge: «Le politiche tariffarie caotiche ed erratiche di Trump, che spesso annuncia dazi e poi li sospende, creano incertezza a livello globale. Questa incertezza può portare a un rallentamento della crescita economica, in quanto le aziende e gli investitori diventano più cauti e possono rinviare gli investimenti. D’altra parte, è improbabile che il mantra di Trump “drill baby drill” porti a un’espansione significativa della produzione di greggio negli Stati Uniti, poiché le aziende si concentrano principalmente sulla massimizzazione dei ritorni e del flusso di cassa».

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