Maccheroni di ceci, penne ai lupini, fusilli al farro, linguine di avena, spaghetti alla spirulina e rigatoni di grano saraceno: anche un alimento iconico come la pasta si è adattata ai gusti e alle esigenze dei consumatori del terzo millennio. Uno sforzo apprezzato dagli italiani, come dimostra l’escalation delle vendite di quelle che vengono definite “altre paste”, arrivate a superare i 163 milioni di euro di vendite annue, stima Niq. Poco rispetto ai 981 milioni di euro della pasta di semola, ma tanto se si considera che questa cifra è stata raggiunta nell’arco di circa un decennio, con un ritmo di crescita lento ma inesorabile (+2,4% solo negli ultimi 12 mesi).
Dunque gli italiani hanno scoperto le paste realizzate con cereali diversi dal grano duro (come il farro, il riso e il mais), con pseudocereali (come il grano saraceno) o con legumi. Oppure preferiscono le versioni integrali dei classici spaghetti e fusilli. «Negli ultimi anni la pasta secca si è rinnovata “dal di dentro” lanciando nuovi ingredienti e nuove elaborazioni – spiega Anna Caterina Tagliabue, market research director della società di ricerca Eumetra –. Si è trattato di un percorso obbligato dettato da due necessità: reagire all’invasione di campo di altri prodotti che si sono inseriti nell’area del primo piatto, e soddisfare l’attenzione alla salute che ha portato molti consumatori a disaffezionarsi alla pasta classica».
Questo ”percorso benessere” è partito dalla pasta integrale, che ancora oggi rappresenta oltre il 90% dei volumi e sviluppa oltre 87 milioni di euro. Quindi è arrivata la valorizzazione di cereali tradizionali (come i grani storici, primo fra tutti il Cappelli) o speciali (come il kamut) in un’ottica di biodiversità anche in tavola. «Più di dieci anni fa abbiamo avuto l’intuizione di portare il farro monococco dal mondo della panificazione a quello della pasta, ottenendo un alimento dalle indubbie qualità nutrizionali e sempre più apprezzato, in cui siamo il brand leader con il 24% di quota a valore e dove nel 2024 siamo cresciuti tre volte il mercato – afferma Pierantonio Sgambaro, presidente del Pastificio Sgambaro, che ha chiuso il 2024 con 26 milioni di euro di ricavi e punta ai 30 milioni entro fine anno –. Credo che per gli agricoltori italiani oggi investire nella coltivazione del farro sia un’opportunità per diversificare le coltivazioni e contribuire a un sistema alimentare più sostenibile».
Queste stesse ragioni hanno riacceso l’interesse sul grano saraceno, uno pseudocereale dalle proprietà antiossidanti ed antinfiammatorie di cui importiamo oltre il 90% del fabbisogno nazionale, benché sia stato tradizionalmente coltivato in diverse parti d’Italia (come Valtellina, Alto Adige, Garfagnana e Mugello). Da qualche tempo questa coltura “minore” è stata reintrodotta soprattutto per soddisfare la crescente domanda di farine prive di glutine.
Il boom del gluten free ha dato una spinta decisiva allo sviluppo delle paste “alternative”, artefici di una crescita significativa (+32% a valore e +24% a volume in quattro anni, fonte Niq) e che va ben oltre la platea dei celiaci diagnosticati. Oggi la pasta gluten free porta nelle casse dei retailer quasi 64 milioni di euro e avanza a doppia cifra. A crescere sono tutte le tipologie, soprattutto le paste di riso (favorite dal netto calo del prezzo medio) e quelle a base di legumi, dove Andriani con il brand Felicia è leader e corre più del mercato. Grazie all’uso dei legumi la pasta è sbarcata anche nel redditizio mondo del proteico. Un settore ancora in espansione (anche se più lentamente rispetto agli anni scorsi) e che ha già conquistato un italiano su quattro, stima Eurispes. Molti i brand che ci hanno investito, da La Molisana a Farmo, da Delverde alla Ketopasta Probios, e altri sono in arrivo.