L’ipotesi è di un taglio secco del 62% dei 103 tribunali fiscali italiani di primo grado. Il piano allo studio del ministero dell’Economia e del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria (Cpgt), potrebbe rivoluzionare la geografia giudiziaria del fisco: 39 Corti assorbono le restanti 64, quelle con un contenzioso tra cittadini ed Erario così ridotto che per i tecnici ministeriali rappresentano una spesa non più sostenibile. Ma l’obiettivo di questo riordino, definito «epocale» dagli osservatori, non è solo razionalizzare i costi, che nel prossimo triennio ammontano a 700 milioni di euro. Sulla giurisdizione, infatti, incombe la legge di riforma 130/2022: con la mutazione del giudice tributario, da onorario a professionale, il numero delle toghe in servizio in primo grado crolla dagli attuali 1.648 (2.238 con l’appello, dato al 2023) a 448 (576 con il secondo grado), rendendo dunque illogica una loro distribuzione tra 103 Corti, in cui ogni magistrato – con stipendio netto fra i 3mila e gli 8mila euro mensili – si ritroverebbe in alcuni casi a decidere anche su solo una decina di nuove cause all’anno.
L’obiettivo
Il dossier del Mef, messo a punto dal viceministro dell’Economia Maurizio Leo, da inizio settimana è oggetto di confronto con il Cpgt, presieduto da Carolina Lussana. Il Sole 24 Ore ha potuto prendere visione delle elaborazioni preliminari da cui si parte per ridimensionare l’organizzazione degli uffici giudiziari. Stando ai dati, l’obiettivo è mantenere aperte poche Corti, che raccolgano ciascuna un minimo di 1.000-1.500 ricorsi su base annua. Ad oggi, infatti, in ogni regione ci sono sedi distanti fra loro pochi chilometri e con pochissime nuove liti all’anno, anche meno di 200. Si ritiene che il loro accorpamento non rappresenti un grosso problema, peraltro già superato dal potenziamento della video-udienza da remoto, che consente a giudici e professionisti di non dover necessariamente partecipare all’udienza pubblica. A questo va aggiunta la strategia perseguita dal governo Meloni, di anticipare la risoluzione delle controversie a una fase precontenziosa.
Il piano di accorpamento
Gli accorpamenti più consistenti riguardano le regioni del Nord Italia, che storicamente hanno un ampio numero di Corti con modesti flussi di ricorsi. Il dettaglio è nella tabella, ma si pensi che nel piano la Valle d’Aosta perde l’unico ufficio giudiziario tributario ad oggi presente. La sede di Aosta, infatti, finisce accorpata alla Corte di Torino assieme alle sedi di Asti e Cuneo. Sempre in Piemonte, oltre al capoluogo di regione, resta la sede di Alessandria, che assorbe Biella, Novara, Verbania e Vercelli. In Lombardia sono fatte salve, con Milano, Cremona e Bergamo, che vanno a incorporare Lodi, Mantova, Pavia, Brescia, Como, Lecco, Sondrio e Varese. In Friuli il capoluogo, Trieste, perde la Corte, accorpata con Pordenone e Gorizia alla sede di Udine. In Veneto le Corti di Belluno, Padova, Treviso, Rovigo e Vicenza si fondono nelle sedi di Venezia e Verona.Tagli consistenti anche nel Centro. Firenze e Pisa accorpano Arezzo, Prato, Pistoia, Siena, Grosseto, Livorno, Lucca e Massa Carrara. Nel Lazio le sedi di Rieti, Viterbo e Frosinone sono incorporate a Roma e Latina.Più contenuti i tagli al Sud, in quanto rispetto al resto delle Corti del Centro e del Nord presenta flussi di ricorsi molto elevati. In Sicilia su nove Corti attuali, ne restano cinque. In Calabria ne sono fatte salve tre sulle cinque oggi in funzione, mentre in Puglia restano Bari e Lecce che assorbono Foggia, Brindisi e Taranto.
La tensione politica
Il tempo stringe. La riforma della geografia va approvata entro il 31 agosto in attuazione della delega fiscale. Martedì scorso il dossier è passato a una prima valutazione del Cpgt. Secondo la presidente del Consiglio di presidenza, Carolina Lussana, «si tratta di una ipotesi del Mef, ma è necessaria una fase istruttoria per comprendere come realizzare l’intervento. Troveremo una sintesi all’interno del Cpgt, viste le diverse sensibilità sul tema. Confidiamo in un clima di leale collaborazione con il Mef». A ciò si aggiungano le tensioni politiche. Il 20 gennaio scorso il Sole 24 Ore del Lunedì ha raccontato le iniziali indiscrezioni sulla nuova geografia giudiziaria, con l’ipotesi di lasciare le Corti di primo grado dei capoluoghi e pochi altri uffici nelle province. Ne è seguita una interrogazione del gruppo Pd al Senato (tra i firmatari l’ex viceministro dell’Economia Antonio Misiani), in cui si ritiene «inopportuna tale articolare delle sedi che rischia di ripercuotersi sul buon funzionamento della giustizia tributaria e sui cittadini».