Storie Web giovedì, Febbraio 6
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Il ministro della Giustizia si è recato ieri in Parlamento, assieme al titolare dell’Interno, per ricostruire la vicenda legata al rilascio di Almasri, il generale libico accusato dalla Cpi di torture. Ma nella versione del Guardasigilli sono molti i punti che non tornano e su cui vale la pena soffermarsi.

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Dopo due settimane dalla liberazione del generale Almasri, il ministro Carlo Nordio si è recato ieri in Parlamento, assieme al titolare dell’Interno, per ricostruire quanto accaduto nelle discusse 48 ore fra l’arresto del carceriere libico e il suo rimpatrio su un volo di Stato. Ma nella versione restituita dal Guardasigilli sono molti i punti che non tornano su cui vale la pena soffermarsi.

Gli errori nella prima versione del mandato della Cpi

In primo luogo, il ministro si è concentrato sul mandato d’arresto emanato dalla Corte penale internazionale, lamentando una serie di errori che “avrebbero reso impossibile l’immediata adesione del ministero alla richiesta arrivata dalla Corte d’appello”. Di che errori parla Nordio? Il problema principale riguarderebbe le date dei presunti crimini commessi da Almasri, che nella prima ordinanza emanata dalla Cpi il 18 gennaio vengono fatti risalire dapprima al 2011 e poi al 2015. “Un’incertezza assoluta” nelle tempistiche, che secondo il Guardasigilli hanno reso l’atto “completamente viziato”, come confermerebbe il fatto che pochi giorni dopo – il 24 gennaio – la Cpi si è riunita e ha formulato una seconda versione corretta dell’ordinanza.

Ora è vero, come dice il ministro, che nella prima versione dell’atto si fa riferimento come data di inizio dei reati attribuiti ad Almasri al 2011 (cosa peraltro impossibile dal momento che la prigione di Mitiga in cui sarebbero stati commessi i crimini nel 2011 nemmeno esisteva, come si legge nell’atto). Ma è altrettanto vero che in tutti e due i dispositivi, sia quello del 18 gennaio che quello del 24, il periodo preso in considerazione dall’accusa riguarda gli anni tra il 2015 e il 2024, come viene ripetuto anche nella nota diffusa dal Corte il 22 gennaio (il giorno dopo il rilascio), in cui si parla di crimini “presumibilmente commessi in Libia da febbraio 2015 in poi”.

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Perché il vizio emerge solo ora?

La confusione probabilmente nasce dal fatto che al 2011 – come spiega la stessa Cpi  – risale l’inizio del monitoraggio del Consiglio di sicurezza dell’Onu sulla situazione in Libia, attraversata dalle violenze scoppiate contro il regime di Gheddafi. Questa data viene più volte menzionata nella prima versione del mandato, ma solo nelle conclusioni viene riferita ai reati di Almasri. Nel resto del dispositivo si parla chiaramente dell’arco compreso tra il 2015 e 2024. Appare quindi abbastanza evidente, contrariamente a quanto sostiene Nordio, che quello delle tempistiche sia stato un vizio puramente formale. La sostanza, ovvero l’impianto accusatorio dell’atto, resta la stessa. Un formalismo del genere era sufficiente per giustificare l’inerzia del ministro?

D’altronde, se l’errore sottolineato da Nordio era tale da compromettere la validità dell’intero mandato, per quale motivo al momento di convalidare l’arresto la Corte d’Appello di Roma non l’ha rilevato? Non spettava al Guardasigilli, infatti, ma ai giudici romani contestare l’eventuale illegittimità dell’atto. Eppure nella sentenza di scarcerazione del libico si parla di “errore procedurale” legato alla mancata comunicazione per tempo degli atti al ministero della Giustizia.

E di incongruenza nelle date non si fa menzione neppure nell’istanza presentata dal legale di Almasri e con cui ne chiedeva la liberazione. Come mai allora questo errore emerge solo ora? Peraltro la Cpi aveva esplicitamente esortato l’Italia “nel caso in cui individuassero problemi che potrebbero impedire o impedire l’esecuzione” del mandato “di consultare la Corte senza indugio al fine di risolvere la questione”. In altre parole, Nordio una volta accortosi dell’errore avrebbe potuto segnalarlo alla Corte, che avrebbe provveduto a sciogliere rapidamente la questione.

Come mai Nordio ha taciuto?

Ma il ministro pare contraddirsi. Dapprima quando dice che l’atto “è arrivato in inglese senza essere tradotto” e i tempi erano stretti, ma poi ammette di averlo letto così attentamente da aver individuato “numerose criticità e discrasie”. Dopo, quando parla di sé stesso e precisa che il suo ruolo non è quello di un semplice “passacarte” ma è politico. “Ho il potere e dovere di interloquire con altri organi dello Stato sulla richiesta della Cpi, sui dettagli e sulla coerenza delle conclusioni cui arriva la Corte”, ha specificato ieri. Come mai allora proprio quando aveva l’occasione di esprimere la sua funzione politica e valutare – come rivendica –  l’ordinanza, Nordio ha preferito tacere e lasciar correre?

Insomma l’informativa di ieri avrebbe dovuto aiutare a fare chiarezza sul caso e a dipanare ogni dubbio. Così evidentemente, non è stato. Mentre crescono le perplessità attorno a una vicenda che appare sempre più oscura e intricata, le dichiarazioni del ministro lasciano dietro di sé una scia di domande ancora senza risposta.

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