BRUXELLES – La guerra commerciale lanciata dall’amministrazione Trump al resto del mondo preoccupa ben al di là dei rischi di inflazione e di recessione, legati all’adozione di dazi doganali. In Europa serpeggia la preoccupazione di assistere a un riorientamento dei flussi commerciali verso l’Unione europea. La questione è stata al centro del colloquio telefonico che hanno avuto la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il premier cinese Li Qiang.

In un riassunto della conversazione, la signora von der Leyen ha sottolineato il «ruolo essenziale» della Cina nell’evitare una «possibile diversione» del commercio internazionale dall’America all’Europa, in particolare «nei settori in cui già oggi vi sono livelli di sovraccapacità globale». Più in generale, «la Cina e l’Unione europea devono rafforzare la comunicazione e il coordinamento, (…) sostenere il commercio e gli investimenti liberi e aperti».

Il colloquio telefonico è particolarmente interessante. Mentre l’Unione europea mantiene aperta la porta del negoziato con Washington, maneggiando con sapienza ed equilibrio l’arma dei contro-dazi (fosse solo per mantenere la coesione tra i Ventisette), la Cina ha deciso di affrontare a muso duro gli Stati Uniti, annunciando occhio per occhio un aumento dei propri dazi in risposta alle scelte della Casa Bianca e provocando nei fatti una escalation. Ieri il premier Li ha affermato che «la Cina è perfettamente in grado di compensare gli effetti esterni negativi».

Più in generale, il colloquio telefonico riflette il tentativo di riavvicinamento tra Pechino e Bruxelles in un momento in cui con Washington entrambe le capitali hanno pessime relazioni. Cina e Unione europea hanno ambedue l’interesse a rafforzare i loro rapporti bilaterali, fosse solo in vista di una diversificazione commerciale. Non per altro le parti hanno annunciato un vertice bilaterale che si terrà in luglio per celebrare il 50mo anniversario delle relazioni diplomatiche.

Nel contempo c’è la paura europea di assistere a una invasione di beni cinesi, in origine destinati agli Stati Uniti. L’acciaio non è il solo settore oggetto di sovraccapacità produttiva in Cina, tale da creare un aumento dell’offerta, un calo dei prezzi e ripetute crisi aziendali. Secondo la Camera di commercio europea a Pechino, il 51% delle aziende interpellate in un sondaggio ritiene che sovraccapacità ci sia anche nella chimica, il 55% nel settore manifatturiero, il 56% nella farmaceutica, e il 62% nell’automobile.

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