Non sono mai stata una schiava degli abbinamenti vino/cibo, fatta eccezione per i dolci. Lì non si scappa: il sapore dolce comanda e chi prova a contraddirlo finisce male. Tutto il resto, invece, è un teatro di cliché che vale la pena smontare, bicchiere alla mano.
Cominciamo dal mito più duro a morire: ostriche e champagne. L’icona del lusso, la coppia perfetta, la foto da copertina. Peccato che spesso non si sopportino. La salinità delle ostriche e l’acidità dello champagne si prendono a sberle come due divi in crisi di ego. Meglio un bianco tranquillo e poco invasivo come un muscadet, oppure un dito di vodka e lo stesso discorso vale per il caviale. Però, alla fine della fiera: se vi piacciono le ostriche o il caviale e il matrimonio con lo Champagne, che c’è di male? Niente.
Altro dogma da cestinare: “il rosso va solo sulla carne”. Il Pinot Nero, se potesse parlare, con la sua grazia e la sua eleganza, risponderebbe col sorriso, essendo un vino capace di sedurre anche una zuppa di pesce e senza farne un dramma. Idem per il Cerasuolo di Vittoria in Sicilia o una Valpolicella classica (ma non il ripasso, vi prego): tannini leggeri, eleganza, versatilità. Anche un sangiovese giovane di Romagna sul pesce azzurro non fa disastri e anzi, ci ricorda una vecchia tradizione locale che non mi fa impazzire ma ha un suo fascino un po’ retrò.
Capitolo tonno. Trattiamolo come carne, non come pesce: se è crudo o scottato, i bianchi si ritirano con dignità. Se invece è sott’olio, il bianco torna protagonista, ma con sobrietà. Preferite fare come vi pare e piace? Sentitevi liberi: fatelo!
