Il ritrovamento fortuito dell’insediamento suburbano, occupato dal II al VII secolo d.C., è avvenuto durante i lavori di piantumazione di un aranceto a Squillace, sulla costa ionica catanzarese.
Il team di archeologi al lavoro
Ai più oggi il nome di Cassiodoro dice poco, eppure può essere annoverato tra i grandi della Storia, protagonista e testimone di quella italiana nel passaggio tra antichità e Medioevo. In una penisola che cerca nuovi assetti dopo il crollo dell’impero romano d’Occidente e le invasioni barbariche del V secolo, Cassiodoro, ultimo dei Romani e primo uomo del Medioevo, rappresenta una figura di cerniera tra due mondi, uno che muore e l’altro che sta nascendo. È grazie ai cento monaci amanuensi e miniaturisti del suo “scriptorium” calabrese (ovvero il laboratorio di scrittura nel Vivarium, il monastero da lui fondato) se si sono salvati non solo la Bibbia e i libri dei Padri della Chiesa, ma anche i testi laici della classicità greca e latina. Da Agostino, Basilio, e Ambrogio a Omero, Virgilio e Cicerone. Senza Cassiodoro, senza l’imponente opera di copiatura, questo immenso patrimonio librario e di conoscenza sarebbe andato perduto.
A lui dobbiamo il primo modello di Università e la cultura del libro da cui prenderanno ispirazione i monasteri medievali. Definito padre delle biblioteche d’Occidente, coetaneo di Benedetto da Norcia con il quale diventa una delle pietre angolari nella costruzione dell’Europa moderna, tuttavia Cassiodoro, a parte un recente e rinnovato interesse, nel corso dei secoli è finito nel dimenticatoio, drasticamente ridimensionato nei suoi meriti. Gli stessi programmi scolastici lo trascurano. Tra i banchi lo si cita, ma non viene studiato in maniera approfondita. Perché? Quale fortuna postuma toccò a Cassiodoro? Il Vivarium sopravvisse al suo fondatore? Dov’era ubicato questo monastero? Il dibattito è plurisecolare, secondo gli studi più accreditati doveva sorgere in un’area poco distante dalla colonia romana di Scolacium, sulla costa ionica in provincia di Catanzaro, ma le nuove indagini archeologiche possono offrirci dati più precisi? A rispondere è Domenico Benoci, professore di Archeologia cristiana all’Ateneo pontificio Regina Apostolorum e ricercatore al Pontificio istituto di archeologia cristiana (Piac).
L’anno scorso arriva la segnalazione di un muro venuto fuori mentre si sta piantando un agrumeto, proprio poco lontano da Scolacium, scarsi tre chilometri, proprio nelle terre che erano di proprietà di Cassiodoro. Quest’anno è partita la campagna scavo. Vede così la luce il “Vivarium project”, promosso dal Piac, un progetto di studio, analisi e valorizzazione nei territori di Squillace e Stalettì con l’obiettivo di gettare nuova luce sui luoghi dove fiorì l’attività culturale e spirituale di Cassiodoro. I prossimi anni vedranno impegnati sul campo studenti, specializzandi e dottorandi, provenienti da tutto il mondo e guidati dai due direttori scientifici della missione, Benoci e Gabriele Castiglia, professore di Topografia dell’Orbis Christianus Antiquus e di Metodologia della ricerca archeologica al Piac. La ricerca non tenta solo di rimediare all’ingrata amnesia su Cassiodoro, ma ha come sfondo la ricostruzione della sua “fama sanctitatis” per la causa di beatificazione avviata nel 2020.
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Flavio Magno Aurelio Cassiodoro Senatore è uomo di dialogo in un tempo irrequieto. Nasce da una famiglia altolocata nel 485 circa a Scolacium, dove muore ultranovantenne. È la Skylletion della Magna Grecia, polmone verde dell’archeologia calabrese sull’istmo tra Ionio e Tirreno. È la moderna Squillace che oggi protesta contro l’annunciato mega-impianto di devastanti pale eoliche. Quarant’anni di impegno politico con i re ostrogoti a Ravenna, capitale del regno, fanno approdare Cassiodoro nella ristretta cerchia di corte. Il suo sogno è quello di un regno italico nel quale possano convivere Ostrogoti e Romani. Convinto assertore della conciliazione tra la romanitas e i barbari, tra latinità e germanesimo, purtroppo però è costretto a ricredersi con lo scoppio della quasi ventennale guerra gotica e la vittoria dei Bizantini. Amareggiato e deluso, abbandona le prestigiose cariche e, dopo un soggiorno a Roma e la trasferta a Costantinopoli, si ritira nei possedimenti familiari in Calabria.
Qui fonda il “monasterium vivariense sive castellense”, per meglio dire le comunità monastiche del Vivarium, di vita cenobitica, e del Castellense, di vita eremitica, con una novità rispetto all’epoca: la monumentale biblioteca e lo “scriptorium”, dove il testo, ebraico-cristiano o classico che sia, viene curato, redatto e divulgato con professionalità editoriale. È l’inizio di un’impresa che dal Vivarium, dalla Calabria, cioè dagli stessi luoghi vocati al sacro e scelti secoli dopo da San Bruno, si propaga in tutta Europa e dura molti secoli fino all’invenzione della stampa nel XV secolo. Il laico Cassiodoro, perché non fu mai presbitero né vescovo, ha ormai settant’anni. Il suo monastero diventa il posto dove pregare e studiare, dove si accolgono viaggiatori e pellegrini, dove si trasmette il sapere, dove si pratica la medicina caritatevole. Dove soprattutto si copiano e traducono manoscritti. La funzione del copista, detto “antiquario di Dio”, umile scrivano che con pazienza sottrae alle intemperie dei secoli codici e pergamene, è vista come missionaria. Pur tacendo parla a tutti gli uomini, predica con la mano, combatte il male a mezzo di penna e inchiostro, offrendo “ai mortali la salvezza senza fare chiasso”.
Professore Benoci, è vero che lo scavo è partito da un ritrovamento fortuito?
Sì, la segnalazione è dell’anno scorso quando sono stati rinvenuti alcuni lacerti murari all’interno di una proprietà privata nell’agro del Comune di Squillace. Io e il professore Gabriele Castiglia ci siamo recati sul posto per un sopralluogo allo scopo di verificare l’entità della notizia.
E cosa avete scoperto?
I resti di questo muro, intercettato durante i lavori per la piantumazione di un frutteto ad aranci, apparivano estremamente interessanti. Nell’area, inoltre, c’era molta dispersione di materiale edilizio tardoantico che lasciava presumere ci trovassimo in presenza di un antico sito rurale. E in effetti, consultando poi la documentazione di archivio e di alcuni studiosi locali, sono venute fuori segnalazioni degli anni Cinquanta del secolo scorso nella stessa zona riguardo rinvenimenti significativi, tra cui un’iscrizione romana databile al II secolo, poi affissa nel palazzo del Comune di Squillace.
Da qui l’avvio del cantiere
Sì, abbiamo fatto una richiesta per aprire un’area di scavo alla Soprintendenza che, nonostante i pochi mezzi, ci è venuta incontro rilasciandoci un’autorizzazione per una campagna triennale. Ma davvero straordinaria è stata la disponibilità dei proprietari del terreno.
In che senso?
Innanzitutto sono stati rispettosi e sensibili nel fermare i lavori dell’azienda agricola quando hanno trovato il muro. Hanno aspettato il nostro intervento e aperto le porte del loro fondo affinché l’équipe del Pontificio istituto di archeologia cristiana potesse quest’anno cominciare l’indagine, richiedendo loro stessi il vincolo archeologico una volta appurato il valore del sito che si è rivelato essere un insediamento romano, più precisamente una villa suburbana con una continuità di vita attestata a partire dal II secolo d.C. fino alle fasi tardoantiche di VI-VII secolo d.C. Identificazione temporale calcolata sulla base del materiale ceramico e della tecnica muraria.
Quest’anno, quindi, è iniziato lo scavo vero e proprio. Con quali risultati?
Abbiamo aperto un saggio di scavo di dieci metri quadrati e rintracciato alcuni ambienti termali, in uno dei quali, riutilizzato in una fase di abbandono della villa, è venuta fuori la sepoltura di un adolescente, con uno scheletro e una fibbia di età gota databile al VI secolo, cioè contemporanea all’epoca di Cassiodoro.
Professore, chi era Cassiodoro? E perché la campagna è stata intitolata Vivarium Project?
L’interesse del Piac e la nascita del progetto sono legati alla causa di beatificazione di Cassiodoro, importante figura di politico e letterato sotto Teodorico il Grande, nato e morto a Squillace, che qui fondò un monastero, il Vivarium. Il dicastero per le cause dei santi nell’ambito del processo, che dopo la fase diocesana locale è ora approdato a Roma, ha chiesto una serie di testimonianze per attestare l’esistenza del culto reso a Cassiodoro “ab immemorabili tempore”. Noi ci occupiamo di trovare le prove archeologiche, per meglio dire i resti del monastero ancora non ben localizzato, nonostante le numerose ricerche svolte finora.
Non esistono ipotesi sull’ubicazione?
Ci sono siti in territorio squillacese che vengono comunemente ascritti al monastero “viviariense sive castellense” di Cassiodoro, ma non possediamo alcuna certezza archeologica, come ad esempio un’iscrizione che confermi la presenza dell’edificio. Perciò dall’anno scorso abbiamo intrapreso una puntuale mappatura dei Comuni di Stalettì e Squillace, che proseguirà nei prossimi anni, per ottenere una carta archeologica che ricostruisca le dinamiche delle modalità insediative antropiche nella diacronia, ovvero nel loro sviluppo temporale e non solo nel periodo che ci interessa. Tutto questo grazie anche al sostegno dell’arcidiocesi di Catanzaro-Squillace che sostiene il vitto e l’alloggio del team di ricerca internazionale. Lo scopo è quello di riuscire ad individuare il Vivarium, ma anche di riempire i vuoti nella mappa.
Ma questa villa scoperta nell’agrumeto potrebbe appartenere a Cassiodoro e coincidere con il Vivarium?
Cassiodoro nel periodo in cui istituì il Vivarium era uno dei più grandi proprietari terrieri del Bruttium, della Calabria tardoantica, e quindi è molto probabile che disponesse di un ampio terreno su cui impiantò il monastero. Le fasi tarde della villa da noi individuate sono coeve a Cassiodoro, tuttavia non abbiamo la certezza che la villa fosse di Cassiodoro o che rientrasse nel comprensorio del Vivarium, però sicuramente quel territorio era nelle proprietà di Cassiodoro.
Può spiegarci meglio la funzione del Vivarium?
La doppia titolatura, data da Cassiodoro stesso nelle sue opere, di “monasterium viviariense sive castellense”, cioè monastero del Vivarium e del Castellum, serviva proprio a distinguere i due elementi costitutivi, cioè una parte cenobitica, il Vivarium, e una parte ascetica, eremitica, il Castellum. Cassiodoro dà vita al monastero nella metà del VI secolo quando vede il suo progetto di restaurazione culturale del regno goto d’Italia fallire a causa della guerra greco-gotica e si ritira dalla vita politica nei suoi possedimenti della Terra Bruttiorum. Il monastero diventa una sorta di cenacolo culturale che permette la perpetuazione dei saperi profani classici come preparazione agli studi teologici. Cassiodoro lo spiega nelle Institutiones, che rappresentano la regola dei suoi monaci: li invita a studiare per una solida preparazione teologica le discipline organizzate nelle arti del trivio (dialettica, grammatica, retorica) e del quadrivio (aritmetica, astronomia, geometria, musica), profane sì ma base imprescindibile per gli studi teologici. Un programma pedagogico che diviene la norma nel Medioevo.
Dunque non c’è censura verso il mondo non cristiano
Esatto. Lo studio delle arti profane ha come obiettivo la corretta esegesi dei testi sacri. E così Cassiodoro affida ai monaci il compito importantissimo di proteggere, conservare e trasmettere ai posteri l’immenso patrimonio librario, culturale degli antichi. E in questo risulta molto attuale.
Perché?
È uomo di pace, avrebbe tanto da dirci anche oggi. Vive in un periodo turbolento di passaggio con una dominazione straniera nel contesto romano e diventa il primo ministro di questo nuovo governo, al servizio prima di Teodorico, poi di Amalasunta e del figlio Atalarico. Tenta allora di creare un ponte tra il mondo romano classico e i nuovi dirigenti del regno dei Goti. Il suo proposito è proprio quello di realizzare un’acculturazione reciproca, progetto che purtroppo fallirà per via della guerra greco-gotica, con i Bizantini che invece vogliono riprendersi i possedimenti in Italia.
Come intendeva creare questo ponte di pace e riconciliazione?
Il Vivarium ha come cuore uno “scriptorium” in cui i monaci copiano i testi sia classici che cristiani. La loro biblioteca diventa la prima biblioteca europea, il prototipo delle biblioteche medievali dei grandi monasteri. Basti pensare che una delle più antiche versioni della Bibbia è un codice copiato a Vivarium: la Bibbia Amiatina viene copiata dal Codex Grandior che doveva essere un archetipo proveniente dal Vivarium.
Cassiodoro coglie la crisi del suo tempo e salva l’essenziale per quello futuro. Ma il Vivarium si può definire monastero benedettino?
Il credere che Cassiodoro sia un monaco benedettino, che adotti la regola benedettina, è un topos letterario.
E come nasce questo luogo comune?
Intorno al XII-XIII secolo il Vivarium viene assorbito dall’abbazia della Trinità di Mileto che era benedettina. Cassiodoro entra all’interno del filone benedettino come forma di recezione postuma, ma non era benedettino, la regola che dà non era benedettina, perché sono le Institutiones la regola per i suoi monaci, l’ordine di Cassiodoro è a se stante. Del resto, l’esperienza monastica di Cassiodoro è diversa da quella di Benedetto, non c’è relazione. La regola di Benedetto forse ha preso spunto da una cosiddetta Regula magistri, regola anonima databile al VI secolo, si pensava che fosse stata scritta da Cassiodoro, ma oggi i filologi non sono tutti concordi.
Cassiodoro conobbe Benedetto?
Non lo sappiamo, probabilmente sì perché sono in asse a livello cronologico e perché Cassiodoro si spostò molto per il suo ufficio, anche a Roma e nella corte papale.
Professore, possiamo affermare che con Cassiodoro è la prima volta che compare un laboratorio di scrittura, uno scriptorium, in un monastero?
Sì, nella forma che poi si conoscerà nel Medioevo. Anche Montecassino recepisce questo tipo di esperienza. Infatti alcuni libri del Vivarium, quando c’è la dispersione della biblioteca del monastero, vanno a Montecassino o alla Capitolare di Verona.
A proposito, che fine è toccata ai testi del Vivarium?
Bella domanda. Il patrimonio librario si è smembrato nel corso del tempo con l’annessione delle proprietà di Vivarium ad altre realtà, come quella della Trinità di Mileto. Durante l’invasione dei saraceni altri codici sono stati portati via e la quantità di libri man mano si è andata depauperando. Purtroppo non conosciamo i passaggi che i manoscritti hanno compiuto.
Perché il Vivarium scompare?
Perché intimamente legato al suo fondatore e, quando il suo carisma viene meno, i successori non sono stati capaci di portarlo avanti. Ma c’è anche un altro motivo.
Quale?
Cassiodoro è all’avanguardia rispetto ai suoi tempi. Parla di relazione con gli stranieri, di inclusione nel senso più ampio del termine, ha una mentalità aperta, mentre in Calabria la presa di potere di Costantinopoli e l’annessione religiosa a Costantinopoli creano scompiglio. Nel periodo della seconda iconoclastia la Calabria viene annessa alla Chiesa costantinopolitana e questo provoca una forte cesura con le esperienze legate alla Chiesa latina. Vivarium non è una fondazione bizantina, ma legata alla Chiesa latina di Roma. Dall’VIII secolo fino all’arrivo dei Normanni l’esperienza vivariense viene censurata.
Professore, deviando dal discorso storico, un dettaglio etimologico: perché si chiama Vivarium?
Il riferimento è sia materiale che simbolico. Materiale perché lo stesso Cassiodoro descrive i vivai, le vasche naturali ricavate nelle cavità rocciose per la pescicoltura, che dovevano servire tanto al municipium di Scolacium, la città romana, ed evidentemente li aveva costruiti anche per questo pubblico servizio, quanto per i suoi monaci. Cassiodoro racconta che i pesci si gettano quasi nelle mani di coloro che li raccoglieranno ad indicare che c’era abbondanza. Simbolico perché il monastero era stato pensato per essere un vivaio intellettuale e spirituale in cui Cassiodoro formasse i monaci. Mi viene in mente l’assonanza con Tertulliano che parla dei cristiani come “pisciculi”, concetto legato tra l’altro all’acrostico di Cristo. Ecco, il Vivarium è il luogo dove il cristiano si forma sia umanamente con le arti profane sia spiritualmente con il sapere teologico.
Insomma, Cassiodoro, a distanza di quindici secoli, ci appare uomo moderno, perché insegna la necessità dell’incontro e della sintesi tra le diversità per permettere la conservazione del genere e del genio umani. Eppure è sconosciuto a tanti, perché?
Come letterato è stato recepito male da una certa critica nell’Ottocento. Su di lui grava il giudizio di Theodor Mommsen che lo definisce personaggio umbratile, che cambia bandiera, lo considera un collaborazionista dei Goti rispetto invece, ad esempio, a Boezio che mantiene la purezza della romanitas. Ma in realtà si è perso il senso politico e umano di quello che Cassiodoro rappresenta.
Cioè?
In un momento di grandi tribolazioni politiche, belliche e spirituali Cassiodoro, diplomatico abbastanza consumato, è un mediatore tra le culture. Ed è la più grande fonte sulla tarda antichità.
Che intende per Cassiodoro fonte sulla tarda antichità?
Nelle sue Varie, raccolta di lettere che Cassiodoro redige per Teodorico, quando è a capo della cancelleria, ci regala uno spaccato eccezionale di vita sul tardoantico che nessun altro autore della sua epoca è stato capace di registrare. Comunque oggi, a partire dagli studi di Andrea Giardina, le valutazioni su Cassiodoro sono in controtendenza rispetto a qualche secolo fa. Le posso dare un altro input su quanto siano importanti e unici anche gli scritti per così dire minuziosi di Cassiodoro.
Mi dica.
In Valpolicella, provincia di Verona, si produce il recioto, vino dolce molto famoso e gustoso. Cassiodoro in una lettera descrive nei minimi dettagli il vino migliore da portare alla tavola del re e ne espone le fasi della produzione che coincidono esattamente con quelle del recioto, ottenuto attraverso una speciale tecnica di appassimento delle uve.
Cassiodoro una sorta di cronista della sua epoca.
Sì, proprio così. I produttori del consorzio della Valpolicella conoscono la lettera e c’hanno detto che il procedimento di vinificazione del recioto dal VI secolo ad oggi non è per nulla cambiato. Lo trovo un fatto meraviglioso.
La Storia si fa tradizione che coinvolge tutti. Viene allora da chiedersi: quanto conta il dialogo con il territorio in un’impresa archeologica come quella che è sulle tracce di un monastero altomedievale, in Calabria, in un Sud spesso emarginato e poco valorizzato?
Tantissimo. Il Piac si è proposto come ente intermediario, che ha fatto da collante tra le varie istituzioni locali ed è stata una sperimentazione virtuosa. Siamo riusciti a mettere insieme la soprintendenza, l’arcidiocesi, i Comuni, l’Istituto di studi su Cassiodoro e il Medioevo in Calabria. Ora siamo in contatto con Regione e istituti bancari per dare un ulteriore impulso al progetto. Vorrei, inoltre, ricordare l’aspetto didattico dello scavo. L’istituto di archeologia cristiana, essendo scuola dottorale della Santa Sede, forma archeologi specializzati. Quest’anno erano quindici gli studenti provenienti non solo dall’Italia, ma da Cina, Austria, Germania, Stati Uniti, Polonia.
Professore, un’ultima domanda prima di congedarla. Lei è originario di Reggio Calabria, conosce bene questa terra. Al di là dei nuovi dati archeologici, cosa ha svelato finora il Vivarium project?
Ha dimostrato che la collaborazione è possibile e va incanalata in iniziative di ampio respiro e lungimiranza che portino ricadute stabili sul territorio, in termini di occupazione e di turismo culturale, oltre che religioso, tramite l’ideazione di nuovi percorsi di fruizione e valorizzazione. Insomma, fare rete in Calabria si può. E si deve.