Un quadro chiaro in cui ancora mancano dettagli rilevanti. Questa la conclusione che si può trarre dal cosiddetto tavolo Versalis (Eni) che si è riunito al Mimit a distanza di dieci giorni dal precedente appuntamento. Un lavoro che comunque si annuncia lungo, almeno da quello che si capisce ora. I manager di Eni hanno intanto fatto un passo avanti e hanno illustrato ai rappresentanti del ministero per le Imprese, a sindacati, ai rappresentanti della Regione siciliana (era collegato l’assessore alle Attività produttive Edy Tamajo) il dettaglio del piano di riconversione industriale dei siti siciliani di Priolo e Ragusa dove l’impianto di polietilene è attualmente fermo e a gennaio 2025 inizia l’operazione di decommissioning.
Il piani per Priolo
Per quanto riguarda Priolo e la chiusura dell’impianto di cracking, Eni ha parlato di un programma fast track e ha annunciato di aver completato lo studio di pre-fattibilità e di aver già individuato le utilities, i serbatoi e le infrastrutture per far funzionare la bioraffineria. Il sito è in marcia e resterà attivo per tutto il 2025. Tra la fine del prossimo anno e l’inizio del 2026 ci sarà il fermo impianti e partirà il processo di riconversione. Eni ha illustrato – si legge nel comunicato finale del ministero guidato da Adolfo Urso – le possibili soluzioni e gli strumenti per la tutela occupazionale dell’indotto siciliano con l’impegno da parte dell’azienda per la piena occupazione dei dipendenti. Passi avanti ma evidentemente non abbastanza visto che la convocazione del tavolo è stata aggiornata e all’azienda è stato chiesto di fornire in tempi brevi ulteriori informazioni su come procedere sul fronte delle garanzie per l’indotto sia di Priolo (Siracusa) che di Ragusa.
I sindacati insistono: salvare la chimica di base
In particolare è stato chiesto a Eni di tornare al tavolo con il cronoprogramma della riconversione per avere la possibilità di monitorare la continuità dell’indotto. «La priorità – ha dichiarato per esempio Tamajo – è salvaguardare i livelli occupazionali, diretti e indiretti, e assicurare che il processo di trasformazione industriale possa avvenire nel rispetto delle esigenze di tutti gli attori coinvolti, dalle imprese ai lavoratori. Siamo fiduciosi che il dialogo aperto tra istituzioni, sindacati ed Eni possa portare risultati concreti e sostenibili». A leggere i commenti dei sindacati i passi avanti di Eni rispetto ai precedenti incontri sono ritenuti insufficienti. A partire dalla Cigl che combatte su due fronti: uno riguarda l’immediato e dunque la riconversione degli stabilimenti; l’altro il futuro della chimica di base in Italia. Al tavolo tecnico convocato dal Mimit per analizzare le ricadute del piano di riconversione di Eni sulla chimica di base è stata confermata la chiusura dei siti di Ragusa e Priolo e si è consumato un ulteriore strappo. Il direttore del ministero ha dichiarato che il via libera al piano di Eni è stato dato direttamente dal ministro Urso e dalla presidente del Consiglio Meloni: il Governo sovranista determina l’uscita dalla produzione di etilene del nostro Paese, unico tra tutti i paesi europei», dicono per esempio il segretario confederale della Cgil Pino Gesmundo e il segretario generale della Filctem Cgil Marco Falcinelli. Per i due dirigenti sindacali «non sono stati analizzati i futuri rischi derivanti da tale decisione, visto che Eni stesso dichiara come condizione fondamentale della chimica di base la filiera corta, né le ricadute che la chiusura del cracking di Priolo determinerà sugli impianti Versalis di Ferrara, Ravenna e Mantova, oltre che al resto delle aziende collocate negli stessi siti che oggi lavorano l’etilene o i suoi derivati». Cgil e Filctem spiegano che «sui progetti di reindustrializzazione la situazione è particolarmente indefinita. Su Ragusa i progetti definiti in via di valutazione spaziano dalla coltivazione sul territorio di prodotti per alimentare la bioraffineria, un acceleratore di start up, due centri di ricerca sul riciclo meccanico. Tutti senza date di avvio, senza cronoprogramma e senza indicare gli organici necessari. Su Priolo, le ipotesi in campo riguardano lo sviluppo di una bio raffineria, progetto su cui Eni ha già operato in altre occasioni, e il riciclo di plastiche chimiche che produrrebbe un olio da inviare ai cracking per produrre etilene. Peccato che in Italia non esisteranno più impianti di cracking per il riciclo della plastica».
Le garanzie per l’indotto
Per quanto riguarda l’indotto, Gesmundo e Falcinelli fanno sapere che l’Eni non ha dato comunicazione su quante siano le imprese e i lavoratori coinvolti e si è limitata a dare generiche e indefinite garanzie di rioccupazione. Diversa la lettura della Cisl che chiede, come gli altri, a Eni un cronoprogramma dettagliato sullo switch industriale di Priolo e Ragusa, per dare certezze ai lavoratori e alle loro famiglie. «Vogliamo un protocollo che contenga garanzie istituzionali, perché siano sostenuti gli iter autorizzativi necessari e rispettati tutti gli impegni presi. Considerate le interconnessioni che un petrolchimico come quello di Priolo genera, c’è bisogno di chiarire se e come sia stato messo in protezione quel sistema. Dobbiamo avere garanzie sulla continuità lavorativa per i diretti, ma anche per l’indotto, in entrambi i siti. È necessario infine avere certezze sulle risorse allocate nel piano di trasformazione e chiarezza su come saranno impiegate» dice Nora Garofalo, segretaria generale della Femca Cisl. «Apprezziamo – afferma Garofalo – il passo avanti fatto su Ragusa da Eni, che ha accolto la nostra richiesta di impegno perché non divenisse solo un Centro competenze. Il polo dovrebbe diventare un’unità sperimentale, focalizzata sulle tecnologie di riciclo (meccanico e chimico) e sulla circolarità (bio e agricola), in sostanza un’unità di ricerca e un Agri Hub, un ponte con Priolo sulle iniziative circolari e bio e un motore di innovazione verso le filiere che sono in sviluppo, per attrarre o creare nella città nuove catene produttive industriali. Oggi ci sono state date rassicurazioni sulla continuità dei livelli occupazionali, ma le tempistiche sono lunghe e ancora poco chiare».