Sull’aborto il presidente Donald Trump si è sempre proclamato «moderato» sostenendo che la questione dovesse essere lasciata agli Stati. Sono diverse però le decisioni prese, sia in queste prime settimane di presidenza sia in precedenza, che lo smentiscono. Si va dall’intenzione di aderire alla Dichiarazione di consenso di Ginevra alla grazia agli attivisti condannati per aver bloccato l’accesso a cliniche in cui si praticano aborti. Tra le prime decisioni prese dal 47° presidente c’è poi quella di riattivare la politica che limita i finanziamenti statunitensi alle organizzazioni straniere che forniscono assistenza sanitaria sessuale e riproduttiva. Una scelta che allunga l’ombra della strategia di Trump fino alla politica estera.

Dichiarazione di Consenso di Ginevra

Andando con ordine, il segretario di Stato Usa Marco Rubio ha annunciato l’intenzione di rientrare nella cosiddetta Dichiarazione di consenso di Ginevra, un patto internazionale del 2020 che ha tra i propri obiettivi «proteggere la vita in ogni fase» e che, secondo i suoi detrattori, tenta di minare la base giuridica dei diritti riproduttivi come diritti umani.

Come si ostacola il diritto all’aborto

Il nuovo governo Usa potrebbe ostacolare l’accesso all’aborto, se non addirittura vietarlo a livello nazionale in due modi, senza necessità di azione da parte del Congresso: reinterpretando il Comstock Act del 1873, una legge di 150 anni fa che proibiva la spedizione di materiale «osceno» e che potrebbe essere rispolverata per limitare l’accesso alla pillola abortiva; e ostacolando la distribuzione del mifepristone, uno steroide sintetico utilizzato nelle interruzioni di gravidanza. Anche perché, secondo le rilevazioni del Guttmacher Institute, negli Stati Uniti l’aborto farmacologico rappresenta quasi i due terzi delle interruzioni di gravidanza a livello nazionale.

Il pronunciamento della Corte Suprema

La limitazione al diritto all’aborto ha, però, avuto una svolta decisiva già nel 2022, quando la Corte Suprema si è pronunciata lasciando ai 50 Stati la possibilità di legiferare in materia. Una decisione che è un riflesso delle scelte prese dalla prima presidenza Trump: l’alta Corte infatti è composta in maggioranza da giudici conservatori, vicini all’ala più identitaria dei repubblicani. Su 9 membri a vita, 6 sono stati proposti da presidenti repubblicani. Il solo Donald Trump dal 2017 al 2021 ne nominò tre. Negli ultimi anni la Corte ha emesso una serie di sentenze che hanno contribuito a riscrivere le norme Usa in lente conservatrice, tra cui appunto la sentenza Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization, che ha ribaltato Roe v. Wade, eliminando il diritto costituzionale federale all’aborto.

Il blocco dei fondi

Nonostante le promesse per cui l’aborto dovesse essere lasciato alla discrezione degli Stati, una volta tornato allo Studio Ovale, Donald Trump ha firmato alcuni ordini esecutivi che mettono nel mirino la libertà di scelta delle donne. Ad esempio ha rafforzato l’emendamento Hyde, che vieta l’uso di fondi federali per l’aborto (salvo poche eccezioni). Inoltre, durante la sua prima settimana in carica, non solo ha firmato, davanti alla stampa, un ordine esecutivo che ha concesso la grazia a 23 attivisti condannati per aver bloccato l’accesso a cliniche in cui si praticano aborti ma ha anche ripristinato la Mexico City Policy (Mcp) inasprendola. La misura che dalla sua promulgazione nel 1985 è stata applicata solo sotto le amministrazioni repubblicane e limita gli aiuti finanziari degli Stati Uniti alle organizzazioni che forniscono interruzioni di gravidanza.

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