Il governo italiano, con il ministro delle Imprese e del made in Italy Adolfo Urso, apre a una «soluzione negoziale» tra Unione europea e Cina sull’applicazione dei dazi all’import di auto elettriche. Il ministro (e la cosa ha un valore doppio, visto che in queste ore si trova in missione ufficiale proprio a Pechino) attenua dunque i toni più bellicosi che nei mesi scorsi sembravano porre l’Italia decisamente tra i Paesi a favore dei dazi, in contrapposizione, per capirci, alla Germania. Ora la soluzione negoziale perorata dalla Germania, sebbene saranno i dettagli a fare la differenza tra le due posizioni, entra anche nel vocabolario diplomatico italiano. «I dazi – ha detto Urso al termine di un incontro con la comunità degli imprenditori italiani in Cina – sono talvolta lo strumento per ripristinare condizioni di mercato che siano state violate. Noi siamo ovviamente per un mercato libero ma equo e quindi ci auguriamo che in questo caso si possa trovare una soluzione negoziale che ripristini le condizioni dell’equità di mercato a fronte delle sovvenzioni di cui, come la Commissione europea ha verificato, hanno goduto le imprese cinesi». Il pensiero è stato poi ribadito in una successiva dichiarazione. «Auspico anch’io (in riferimento alla posizione tedesca, ndr) una soluzione negoziale perché i dazi non sono mai la soluzione, ma un mezzo. L’obiettivo deve essere ripristinare le condizioni di mercato all’interno delle regole dell’Organizzazione mondiale del commercio. Restiamo favorevoli assolutamente al mercato libero, ma equo».

La partership industriale

Emerge il filo sottile della realpolitik. Perché, coincidenza forse imprevedibile, Urso si trova in Cina per preparare il terreno a investimenti cinesi in Italia, a partire dall’ambizione di portare nel nostro Paese un secondo produttore di auto, proprio mentre il caso dazi è al suo punto apicale. Dopo l’uscita dalla Via della Seta il governo – in attesa della missione della premier Giorgia Meloni di fine mese, e poi del viaggio del presidente della Repubblica Sergio Mattarella dopo l’estate – si gioca una fetta importante dei rapporti economici con il gigante asiatico. «Questo sarà un anno importante nel segno della storia e della cooperazione avvenuta in questi secoli tra i due mondi – dice Urso – un anno in cui si svilupperà questo partenariato strategico industriale che penso possa essere utile anche all’Europa. Per una collaborazione, per quanto ci riguarda, soprattutto sulla tecnologia green, sulla mobilità elettrica, sulla sostenibilità. Per arrivare a fare dell’Italia una piattaforma produttiva che evidenzi questa nuova cooperazione win win».

Gli incontri

Nel programma della missione di due giorni, oltre a una riunione con il ministro dell’Industria e delle Tecnologie per l’Informazione, Jin Zhuanglong, sono stati inseriti incontri con varie aziende. Urso si è confrontato con il presidente di CCIG (China City industrial group, produttore di autobus), Gu Gifeng, e con il presidente di Chery Automobile, Yin Tongyue. Venerdì 5 luglio sono in porgramma incontri con Dongfeng, Jac (produttori di auto elettriche come Chery), Weichai (motori), Mingyang (energia rinnovabile). La missione viene considerata una ricognizione per preparare il terreno alla visita di fine luglio della premier Giorgia Meloni, quando potrebbero essere concretizzati degli accordi di investimento. Discorsi in fase avanzata ci sarebbero in particolare con il gruppo CCIG candidato a investire insieme a Seri e Invitalia nell’Industria Italiana Autobus di Flumeri. Le energie rinnovabili sono invece al centro dell’incontro con Mingyang. E la farmaceutica e l’alta gamma sono oggetto di un’ulteriore azione di scouting di potenziali investitori. Le attenzioni più alte sono ovviamente riservate al possibile arrivo di un produttore di auto elettriche, che possa alimentare l’intera filiera italiana, e non è un caso che alla missione partecipi anche Roberto Vavassori, presidente di Anfia, l’associaizone dei componentisti dell’automotive. Il ministero delle Imprese ritiene di avere buone carte per chiudere un’intesa, insistendo sulle «opportunità offerte dall’Italia come hub produttivo in Europa e nel Mediterraneo», piattaforma ideale per un costruttore cinese anche per dribblare alla radice il problema dei dazi

Il lavoro diplomatico

La decisione del governo di non rinnovare, alla scadenza di fine 2023, l’intesa con la Cina sulla Via della Seta è stata accompagnata da una sottile azione diplomatica per non rompere gli equilibri dell’interscambio commerciale e tenere vivi i flussi di investimento. Lo scorso ottobre si è svolta una prima missione dei tecnici del Mimit, per avviare dialoghi con imprese delle tecnologie green e dell’automotive, e per incontrare il direttore generale del ministero del Commercio della Repubblica Popolare Cinese, rimettendo in moto il gruppo di lavoro misto sugli investimenti che si è poi riunito a Verona ad aprile. Nello stesso mese, il ministero ha organizzato una seconda missione tecnica, con un focus ancora più specifico sull’auto. Nel frattempo Urso ha portato avanti i contatti con il Segretario del Partito comunista cinese in seno alla municipalità di Pechino, Yn Li, e con l’ambasciatore cinese in Italia Jia Guide, mentre al ministero incontrava le stesse CCIG, Chery e Dongfeng Motor, altra candidata a produrre auto in Italia, che ha effettuato anche dei sopralluoghi in siti del Mezzogiorno.

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