Quando prendiamo il sole in spiaggia o ai bordi di una piscina sentiamo il calore della radiazione solare, ma certamente non percepiamo il fatto che la luce esercita anche una pressione costante sulla nostra pelle. Poca roba sia chiaro, anzi pochissima, ma misurabile, anche 10mila volte minore di quella esercitata da un grammo di olio solare spalmato sulla stessa superfice. Eppure, è più di un secolo che si cerca di capire come sfruttare la pressione della radiazione elettromagnetica per i viaggi spaziali, in particolari quelli che sono uno dei sogni dell’umanità: i viaggi interstellari.

Un sogno che viene da lontano

Già Konsaltantin Tsiolkovsky, il visionario padre dell’astronautica, ne parlava all’inizio del ‘900, mentre il primo articolo scientifico sull’argomento è del 1958, a cura dell’Ibm che, come sempre ha fatto, esplorava qualunque possibile interessante, e redditizia, innovazione. Oggi, grazie a un esperimento tenuto al Caltech, il prestigioso Istituto di tecnologia californiano, la soluzione è più vicina. La propulsione spaziale oggi si basa sulla chimica o l’elettricità: i razzi vettori più o meno giganteschi bruciano, in poche decine di secondi, quantità incredibili di carburante, e fortunatamente si va sempre più verso quelli meno inquinanti come il metano, oppure sfrutta l’elettricità. I primi motori ci danno spinte potenti e relativamente brevi, i secondi invece spinte molto più contenute, con cui è impossibile sfuggire all’attrazione terrestre, ma prevedono una accelerazione costante e quindi possono essere utili, una volta sfuggiti all’attrazione terrestre, per viaggi di lunga durata. Attualmente, però, migliorarli anche di poco richiede forte impegno economico e di sviluppo, che forse sta portando questa tecnologia su un binario morto. Quello della propulsione spaziale è un punto difficile da superare: oggi come oggi siamo confinati al sistema solare, che è sì esteso, ma che impieghiamo anni per esplorare. Di sicuro quello che è uno dei grandi sogni dell’umanità, arrivare a un altro sistema stellare, anche solamente al più vicino, Proxima Centauri, ci è precluso.

Il laser potente al posto della luce del sole

È nel 2019 che la Planetary Society, una non profit del campo spazio, porta a compimento un’esperienza positiva: una leggerissima vela, di 32 metri quadri, è stata dispiegata dal piccolo satellite che la conteneva e ha navigato attorno alla Terra raggiungendo l’orbita prestabilita, dimostrando che è possibile navigare nello spazio con la luce del Sole come carburante. Con la radiazione solare però non si va tanto lontano, man mano che ci si allontana decresce con il quadrato della distanza, fino a diventare, molto presto, del tutto inutile. Da qui l’idea del Caltech: sostituire la luce solare con un laser di potenza per spingere, diciamo così, la vela spaziale. L’esperimento messo in piedi, e descritto perfettamente in una pubblicazione della prestigiosa rivista scientifica «Nature Photonics», il 30 gennaio scorso, ha avuto successo e apre le porte a sviluppi importanti. Il gruppo di ricerca ha realizzato una micro-vela, di soli 40 micrometri di lato, 40 milionesimi di metro, e con uno spessore incredibilmente piccolo, 50 nanometri, miliardesimi di metro.La microscopica vela si è comportata come previsto sotto la spinta di un laser, vibrando in modo deciso, come un trampolino che regge un nuotatore che sta saltando dicono i ricercatori. La spinta ricevuta dall’azione del laser è stata in linea con quanto previsto.Quel che si è visto, anche se in dimensioni microscopiche, è ben diverso dalle vele solari e dimostra la fattibilità di spingere vele estremamente sottili e leggere grazie a laser di potenza.

Raggiungere Alpha Centauri in 20 anni

Questa ricerca apre la strada alla progettazione di sonde spaziali di massa ridottissima, capaci di raggiungere velocità straordinarie grazie a fasci laser. Uno dei programmi visionari della iniziativa Breakthrough, lanciata nel 2016 da Stephen Hawking e dal miliardario filantropo Yuri Milner, prevede di spedire fino alla stella più vicina al nostro Sole, Alpha Centauri a 4,37 anni luce, una vela spaziale di 5 metri di apertura con una piccola telecamera che scatterà una foto al sistema planetario di quella stella, a testimonianza dell’obiettivo raggiunto, rimandandocela indietro, ovviamente 4,37 anni. Oggi, con questo esperimento microscopico diventa un po’ più fattibile.Con un satellite convenzionale, ci vorrebbero migliaia di anni, ma nel caso del progetto di cui parliamo un laser di potenza di 100 gigawatt, oggi irrealistico, spingerebbe una vela di pochi grammi fino al 20% della velocità della luce e si arriverebbe ad Alpha Centauri in soli 20 anni. Al limite della fantascienza, come fu, a suo tempo, il romanzo «Dalla Terra alla Luna», di Jules Verne.

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