Autonomia differenziata delle Regioni



3 Dicembre 2024



13:56

La Corte costituzionale ha depositato le motivazioni della sentenza con cui, a novembre, ha bocciato molti punti fondamentali nella riforma dell’Autonomia differenziata. Ora il governo Meloni e il Parlamento dovranno riscrivere parti importanti del testo, dai Lep alle funzioni da assegnare alle Regioni. E resta in sospeso il destino del referendum abrogativo.

Sono arrivate le motivazioni della sentenza con cui la Corte costituzionale ha bocciato diversi passaggi importanti della riforma dell’autonomia differenziata. In 109 pagine, i giudici hanno chiarito quali passaggi il Parlamento dovrà cambiare, e perché. Tra le ragioni principali c’è il fatto che molte funzioni di fatto non si possono da assegnare alle Regioni, anche se la Costituzione sulla carta lo prevede, perché la loro gestione dipende anche dall’Unione europea.

C’è poi il caos sui Lep, i livelli essenziali delle prestazioni: a definirli non può essere il governo, come prevedeva il testo del ministro Calderoli. In generale, si legge, “il popolo e la nazione sono unità non frammentabili“. Non possono esistere “popoli regionali” con la loro sovranità. Ci sono poi anche gli aspetti economici, per cui le Ragioni anche se ottengono l’autonomia non possono evitare di partecipare agli obiettivi della finanza pubblica e di seguire il principio dell’equilibrio di bilancio.

Resta ora da capire come si muoverà il governo Meloni per cambiare la riforma che era già stata approvata dal Parlamento. E, per di più, cosa succederà ai referendum: entro il 15 dicembre sarà la Corte di Cassazione a stabilire se i quesiti sono ancora ammissibili. Il rischio che il referendum salti, dopo le modifiche profonde imposte dalla Corte costituzionale, è concreto.

Deputati opposizione sventolano bandiere tricolore in Aula contro l’Autonomia differenziata

La differenza tra materie e funzioni

Una delle questioni fondamentali riguarda cosa si può effettivamente trasferire alle Regioni. È da escludere che si passino intere “materie o ambiti di materie”, ma solamente “specifiche funzioni legislative e amministrative”, cioè ad esempio non l’intera gestione della scuola, ma specifiche funzioni come la nomina di alcune categorie di insegnanti, e così via. Per di più il trasferimento di ogni funzione deve essere “giustificato”, spiegando perché in quella singola Regione rispetta il principio di sussidiarietà.

Quali funzioni non si possono prendere le Regioni

Il principio di sussidiarietà afferma che, in generale, è meglio che a svolgere certe funzioni sia l’ente che è più adatto a farlo: quello che può farlo in modo più efficiente, più efficace e più equo. Ad esempio, non ha senso che sia l’Unione europea a stabilire le aliquote Imu per ogni singolo Comune, e infatti questa funzione è assegnata alle amministrazioni comunali. Ma il ragionamento vale anche al contrario.

Ci sono delle materie le cui funzioni, secondo la Costituzione, possono essere assegnate alle Regioni. Ma in realtà il trasferimento è “difficilmente giustificabile secondo il principio di sussidiarietà”, secondo la Corte, per motivi “di ordine sia giuridico che tecnico o economico”.

Sono quei casi di materie in cui “predominano le regolamentazioni dell’Unione europea“. Ad esempio, la politica commerciale comune, l’energia, la tutela dell’ambiente, porti e aeroporti. Per di più, le norme generali sull’istruzione devono avere per forza una “valenza necessariamente generale ed unitaria” almeno in tutto il Paese.

Come detto, non possono esistere “popoli regionali” che esercitano ciascuno la propria sovranità. Il regionalismo è “un’esigenza insopprimibile della nostra società”, ma deve essere il Parlamento a regolarlo.

La procedura per i Lep è sbagliata è dà troppi poteri al governo

Nella riforma, le finalità che riguardano i Lep sono “generiche e inidonee a guidare il potere legislativo delegato”. In sostanza, questo significa che i Livelli essenziali delle prestazioni – quei requisiti minimi che tutte le Regioni devono rispettare, anche se esercitano l’autonomia in un certo campo – non possono essere stabiliti con un semplice decreto del governo, come prevedeva il testo.

Al momento infatti il Parlamento dovrebbe procedere semplicemente con una legge delega, e poi sarebbe il governo – tramite Dpcm – a stabilirli concretamente. Ma questo è un potere esagerato. Anche perché la Costituzione “esige che il potere governativo sia guidato dalle Camere“.

I Lep “implicano una delicata scelta politica”, perché devono “bilanciare uguaglianza dei privati e autonomia regionale, diritti e esigenze finanziarie e anche i diversi diritti fra loro”. Non solo, ma “ogni materia ha le sue peculiarità e richiede distinte valutazioni e delicati bilanciamenti”. Invece con riforma attuale sull’autonomia prevedeva dei criteri troppo generici, e non avrebbe permesso di tutelare al meglio i diritti dei cittadini: il Parlamento avrebbe dato al governo sostanzialmente una delega in bianco.

Cosa significa per il referendum sull’Autonomia

La sentenza della Corte costituzionale ha fatto saltare numerosi commi dei primi articoli della riforma, quelli che stabilivano i fondamenti dell’autonomia differenziata, inclusa la definizione dei Lep. Questa può essere una buona notizia per i critici della legge, ma resta da vedere che effetto avrà sul referendum abrogativo che dovrebbe avvenire il prossimo anno.

La legge prevede che un referendum possa saltare, anche dopo aver raccolto le firme necessarie, se la legge in questione cambia. O meglio, non solo cambia, ma modifica radicalmente i suoi contenuti e i principi a cui è ispirata. Spetterà alla Cassazione, nei prossimi giorni, stabilire se c’è ancora margine per andare avanti con i quesiti. La decisione è attesa il 15 dicembre.

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