Il pilota giapponese della Racing Bulls protagonista di una disavventura incredibile una volta giunto nello scalo americano. Stavano per rispedirlo a casa: “Ho temuto che qualunque cosa dicessi poteva peggiorare la mia condizione e mettermi nei guai”.

Yuki Tsunoda è appena sbarcato negli Stati Uniti per il lungo week-end del Gran Premio di F1 a Las Vegas. Il pilota giapponese della Racing Bulls è in compagnia del suo fisioterapista e riceve una brutta sorpresa: un agente controlla i documenti poi gli dice di seguirlo e accomodarsi in una stanza dello scalo, è quella dell’ufficio immigrazione. Non può oltrepassare i varchi d’uscita dell’aeroporto né mettere piede sul suolo americano.

Il pilota fermato da un agente all’arrivo nello scalo

Com’è possibile una cosa del genere? Per gli appuntamenti del Mondiale a Miami e in Texas non c’è stato alcun intoppo burocratico mentre adesso sì. Tsunoda proprio non riesce a capire cosa gli sta accadendo e perché.

Ed è in quel momento che inizia la sua disavventura quasi come Tom Hanks in The Terminal: resta sospeso in un limbo per 3 ore buone, durante le quali un funzionario federale lo interroga e lo mette sotto pressione. Gli vengono poste domande di ogni tipo. Vuol sapere tutto di lui: dall’identità alla professione che fa, ai soldi che guadagna, cosa ci fa lì e nemmeno gli bastano i chiarimenti offerti dal nipponico.

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Interrogatorio di quasi 3 ore, non può telefonare al suo team

A Tsunoda viene impedito perfino di fare una telefonata al responsabile del suo Team, così da chiarire quell’equivoco clamoroso e risolvere una situazione tanto spiacevole quanto fastidiosa. Chiede che sia ascoltato anche il medico, compagno di viaggio e riceve sempre la stessa risposta: no. Dopo una discussione inverosimile, lunghissima e inattesa riesce a spuntarla e Las Vegas gli apre le porte.

“Ma ho rischiato di essere rimandato a casa – ha ammesso ai media che hanno riportato la sua vicenda -. Eppure avevo seguito tutte le procedure per espletare le pratiche e ricevere i visti. Credevo fosse tutto a posto come per Austin, dove non ho avuto problemi. E tutte queste complicazioni mi hanno stupito”.

Tsunoda scioccato: “Ho provato una brutta sensazione”

Tsunoda ha vissuto un incubo a occhi aperti, ne ricorda tutti i dettagli. “Mi hanno fatto entrare in un ambiente dello scalo e lì è iniziata la discussione. Ho chiesto se potevo interpellar la persona che era con me, così che potesse confermare la mia identità e la mia professione… che sono un pilota di F1, ma non mi è stato consentito. Ho provato una strana sensazione: qualunque cosa dicessi, poteva peggiorare la mia condizione e mettermi nei guai”.

L’alfiere della Racing Bulls si è sentito trattato come fosse una persona pericolosa, segnalata, indesiderata. “Non mi hanno lasciato portare un amico né contattare qualcuno, nemmeno quelli del mio Team o con i rappresentanti della F1 – ha concluso Tsunoda -. Credo che il funzionario sapesse benissimo chi aveva di fronte ma ha continuato a farmi domande anche su quanto guadagno e altre questioni personali. La verità è che in quella stanza non puoi fare niente. Per fortuna alla fine s’è tutto risolto”.

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