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L’ex magistrato Luca Palamara è in corsa alle elezioni europee con Alternativa popolare, di Stefano Bandecchi. In un’intervista a Fanpage.it ha spiegato il suo ingresso in politica, commentato il caso dossieraggi e la polemica sul sindaco di Bari Decaro, e descritto i problemi della magistratura oggi.

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Luca Palamara, ex magistrato ed ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati, nel 2021 è stato radiato definitivamente dall’ordine della magistratura per il suo ruolo nel sistema delle correnti interne. Oggi è candidato alle elezioni europee con Alternativa popolare, il partito di Stefano Bandecchi. A Fanpage.it, Palamara ha spiegato cosa vuole cambiare con il suo ingresso in politica e cosa non funziona oggi nel rapporto tra magistrati, politica e informazione. Anche se, ha detto, “il mio non sarà mai un racconto contro la magistratura”. Sul caso dossieraggi, ha affermato: “Quel mondo funziona così. Pensare che uno abbia agito da solo è quanto di più lontano possa esistere dalla realtà”. E sulla polemica nei confronti del sindaco Decaro a Bari: “Dal 1993 in Italia è scattata la molla per cui tutto ciò che si realizza in ambito giudiziario è per definizione una verità rivelata. Il rischio, poi, è di essere a propria volta colpiti da queste situazioni”.

Come ha scelto di candidarsi alle elezioni europee con Alternativa Popolare? Era sempre stata sua intenzione entrare in politica?

Dopo i noti fatti e le vicende che mi hanno riguardato, penso che il tema giustizia, forse ancor più di prima, sia andato al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica. Nel mio libro, “Il sistema”, ho voluto squarciare un velo di ipocrisia sul tema, e quel racconto è diventato la base del referendum [sulla giustizia, ndr] del 2022, che però politica non affrontò in maniera molto decisa [il referendum non raggiunse il quorum, con un’affluenza del 20% circa, ndr]. Da qui la voglia di riproporre il tema in uno schieramento che fosse al di fuori degli schemi, in uno schema di rottura. La scelta di Alternativa Popolare è arrivata perché quelle modalità di approccio ai temi della discussione, che in qualche modo Bandecchi ha portato su altri temi, ovviamente con le dovute differenze – ognuno con il suo ruolo, la sua storia, la sua professione – io voglio portarlo avanti sul tema giustizia.

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Cosa l’ha convinta del progetto politico di Bandecchi? Lui si è definito un “rivoluzionario di centro”, ha detto che non vuole essere un moderato. Che spazio politico pensa che voglia andare a occupare?

Oggi un cittadino su due non vota in Italia. Quindi l’attuale classe politica è legittimato dalla metà degli italiani. C’è un’altra metà che si è chiamata fuori. La prima parte è parlare a quella gente, fargli capire che esistono dei riferimenti. Poi c’è un senso di libertà, di indipendenza: oggi, in definitiva, chi è che sceglie la classe politica? Le segreterie dei partiti. Non c’è più una reale competizione. Invece qui c’è un percorso inverso: ritornare a bussare alle porte dei cittadini, trovare il modo di interloquire direttamente.

Quando dice che serve un racconto della giustizia “senza ipocrisie”, concretamente cosa intende?

Tutte le storture che ci sono state su come avvengono le nomine all’interno del mondo della magistratura, su tutto ciò che attiene al rapporto tra politica e magistratura, e su tutto ciò che non è stato fatto nel corso di questi trent’anni anche nel rapporto tra magistratura e informazione. Sono questi i tre capisaldi. Non possiamo dire che su questi non c’è stato un impegno da parte della politica, ma quando si arriva al dunque c’è sempre stata l’idea di non disturbare la magistratura associata, l’opposizione che la sostiene, l’informazione. Bisogna avere il coraggio di andare avanti, per dare una giustizia che funzioni nell’interesse di tutti i cittadini.

Di recente ha detto che in Italia la magistratura ha giocato per anni un ruolo molto importante e poi qualcosa non ha funzionato. Questo ha a che fare con i rapporti di potere in cui anche lei aveva un ruolo? E se sì, come bisognerebbe cambiare la situazione?

Sì, io ho fatto parte di quel mondo e come tale l’ho raccontato. Ovviamente mi assumo la mia quota di responsabilità, dal momento in cui sono entrata in magistratura e dal momento in cui ho ricoperto delle cariche. Non dimentichiamo il ruolo fondamentale che la magistratura ha avuto nella storia repubblicana: terrorismo e mafia. Però, dal 1992 c’è un’inversione di tendenza nei rapporti tra magistratura e politica. C’è l’idea che la linea politica del Paese, in tema di giustizia, debba essere dettata dalla magistratura. In particolar modo dalle correnti, e da una corrente in particolare: gli ultimi dieci anni si sono retti su un’alleanza tra il centro e la sinistra della magistratura.

Non dimentichiamo che il primo Berlusconi, con le sue televisioni, sostenne l’azione di Tangentopoli. Fu dopo che cambiò. Perché? Perché forse la magistratura dal 1996 in poi non era abituata a essere governata da ciò che non era la sinistra, e che vedeva come un ostacolo. L’idea che processando Berlusconi si potesse salvare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura è quella che poi ha creato un grande cortocircuito, nel quale ovviamente pure io ho navigato.

C’è poi l’altro aspetto: chi governa la magistratura? Su questo oggi bisogna dare una risposta molto più forte e incisiva. La governa il mondo delle correnti. E il mondo delle correnti in qualche modo flirta con il mondo della politica. Come si interviene? Sicuramente non come ha fatto la Cartabia. Perché se il modo per intervenire è quello di aumentare il numero dei componenti del Consiglio superiore di magistratura… Senza scomodare Tomasi di Lampedusa e il Gattopardo: tutto cambia perché nulla cambi.

Nelle scorse settimane si è parlato dell’inchiesta della Procura di Perugia sul caso del presunto dossieraggio ai danni di personalità politiche e dello spettacolo che coinvolge un finanziere, Pasquale Striano, ma anche figure della magistratura e del giornalismo. Finora che idea si è fatto della vicenda?

Sinceramente, quel mondo funziona così. Chi arriva prima a determinate informazioni riservate ha un’arma in più. Ci sono sempre stati giornalisti o giornali privilegiati, su determinate notizie. Spesso ha riguardato le indagini penali, mentre in questo caso riguarda addirittura uno step antecedente all’indagine penale. Questo ovviamente, rischia di impattare in maniera violenta sulla vita pubblica e politica dei cittadini. Pensare che abbia fatto tutto uno solo è quanto di più lontano possa esistere nella realtà.

Ha parlato in passato di un Deep Stato, uno ‘Stato nello Stato’ che segue logiche proprie e controlla informazioni e potere. Esiste davvero? E se sì, come funziona, e chi ne fa parte?

Esiste davvero. Ci sono due livelli, che caratterizzano la vita pubblica e politica del Paese. Un livello che appare è quello di chi governa e di chi comanda, ma per governare e comandare dietro esistono degli apparati e delle strutture che in qualche modo mandano avanti la macchina. Pensiamo al tema discusso della tecnocrazia, e ai dirigenti che fanno da supporto alle decisioni politiche. Allo stesso modo, hanno funzionato così i rapporti anche tra il mondo della magistratura e il mondo dell’informazione, maggiormente sviluppati a partire dal 1993, quando nel Paese è scattata la molla che tutto ciò che si realizza in ambito giudiziario è per definizione una verità rivelata. Come dimostra in questi giorni la vicenda Decaro, si rischia poi di essere a propria volta colpiti da queste situazioni. È un effetto boomerang.

Le chiedo anche un giudizio politico sul governo Meloni, non solo in tema di giustizia: dopo quasi un anno e mezzo di governo, cosa ha funzionato e cosa no?

Se penso alla gestione dell’economia, questa è stata caratterizzata a mio avviso dalla necessità di uscire da quella logica dell’assistenzialismo, che aveva caratterizzato l’azione soprattutto dei Cinquestelle. Parlo del reddito di cittadinanza. Quello che a mio avviso è importante è sviluppare il lavoro, puntando soprattutto sui giovani, che sono la vera risorsa.

Per quanto riguarda la giustizia, indubbiamente ci sono state promesse che sono rimaste tali, anche perché il ministro Nordio si è dovuto cimentare con tutte le difficoltà della politica: necessità di trovare accordi e compromessi che spesso e volentieri ne hanno rallentato l’azione. C’è una parte di Italia invece che su quello vuole coraggio, non tentennamenti. Al di là che ci riesca o meno. E se il coraggio manca, qualcun altro se lo deve dare. E noi siamo qui per questo.

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