Deglobalizzazione, nuove catene di valore, diversificazione internazionale e reshoring. E ancora: transizione verde, trasformazione digitale, intelligenza artificiale. Per le imprese, il mix di sfide da affrontare è epocale e costoso. La caccia alle risorse per finanziare questi cambiamenti appare in salita, senza mercato dei capitali unico e con le banche che sostengono già l’80% dell’economia. Invece esiste una via alternativa verso la crescita: private equity e private debt. Parola di Antoine Flamarion e Mathieu Chabran, fondatori nel 2004 di Tikehau Capital, gruppo globale di asset management alternativo con oltre 46 miliardi in gestione, pionieri in Europa degli investimenti alternativi. In questa intervista esclusiva dalla loro sede al centro di Milano, Flamarion e Chabran promettono alle medie imprese italiane che una soluzione per crescere si trova sempre. Tra i nomi italiani che spiccano già nel loro portafoglio EuroGroup, Brandart, Assist Digital, Biofarma, Mtd, Demetra, Ecopol, Milano Fiori…
«Il nostro ruolo è “unire i punti”: mettiamo in contatto investitori e imprese, collegando le aziende che hanno bisogno di finanziamenti – per crescere, innovare o avanzare nella transizione verde e digitale – con gli investitori in cerca di opportunità. Convogliamo i risparmi globali per alimentare la crescita di aziende di medie dimensioni, principalmente in Europa. Come? Raccogliamo capitali da investitori istituzionali globali e forniamo finanziamenti attraverso fondi dedicati di private debt, private equity e real asset. Il nostro approccio è altamente selettivo e si concentra su aziende con un Ebitda di almeno 100 milioni di euro».
Le aziende un tempo temevano il private equity… non è più così?
In Italia abbiamo concluso 50 operazioni in private equity, private debt e real asset. Non siamo una società di leveraged buyout: acquisiamo quote di minoranza. I nostri investimenti di private equity possono durare dieci anni o anche più, molto più a lungo del periodo medio di detenzione del settore. Vent’anni fa, quando abbiamo iniziato, le aziende italiane esitavano ad accettare un aiuto esterno, se non quando ne avevano urgente bisogno. Oggi questa mentalità si è evoluta. Le Pmi riconoscono ora la necessità di un supporto esterno per investire nella doppia transizione – energetica e digitale – e nell’IA.
Operate su scala globale: quanto vale la dimensione “global” in questi tempi di deglobalizzazione?