Cittadinanza, jobs act, riarmo, Europa e alleanze. Di questo e molto altro abbiamo parlato con il senatore del Partito democratico, Marco Meloni, che intervistato negli studi di Fanpage.it, ci ha spiegato come il governo sta cercando di sabotare i referendum dell’8 e 9 giugno.

Dietro la scelta del governo di fissare i referendum lo stesso giorno in cui si svolge il secondo turno delle amministrative, l’8 e 9 giugno, anziché al primo (25 e 26 maggio), c’è “un evidente tentativo di sfavorire la partecipazione”, dice a Fanpage.it il senatore Pd Marco Meloni. Ai ballottaggi infatti l’affluenza tende a essere più bassa che al primo turno. Ma il dem vuole vedere il bicchiere mezzo pieno e ricorda – nonostante si tratti nuovamente di una sperimentazione e non di un intervento strutturale – che perlomeno potranno votare tutti i fuori sede. “È positivo che ci sia questa apertura, ma è necessario che il governo stabilisca una volta per tutte che per tutti i turni elettorali è ampiamente possibile farlo”, dice.

Un altro tema caldo di questi giorni è quello del riarmo, su cui il Pd sembra aver ricucito dopo la rottura della scorsa settimana. “Noi abbiamo trovato una nostra compattezza chiedendo di migliorare questo piano”, spiega e ricorda che il governo è ancora “diviso su tre posizioni”. Quanto alle divisioni con il Movimento 5 Stelle in politica estera, invece, Meloni dice: “Non credo che le parole che Conte ha espresso nelle ultime settimane, molto dure rispetto alle nostre posizioni, siano siano condivisibili. Però insomma, se lui si trova nelle cose che diciamo noi, siamo contenti”.

Onorevole Meloni, per il referendum si voterà lo stesso giorno dei ballottaggi delle amministrative, anziché al primo turno (quando di solito l’affluenza è più alta). Il governo tenta di sabotare il quorum?

Oggi Meloni in Senato in vista del Consiglio europeo, qual è la posizione del governo sul riarmo

Beh, è evidente che c’è un tentativo di sfavorire la partecipazione quello che per loro è un pericolo. È un pericolo la partecipazione democratica. È un pericolo per il fatto che le forze di maggioranza hanno scelto di non condividere le domande referendarie, attraverso l’astensione, anziché attraverso un leale confronto su diverse opzioni. Usare in questo senso l’arma di definire una data che evidentemente coinvolge meno elettori sul turno amministrativo è un mezzo certamente scorretto. Però c’è un aspetto molto positivo per noi, che è quello della apertura più ampia di quanto non fosse in precedenza sul voto ai fuori sede. Voglio vedere il bicchiere mezzo pieno e vedere questa notizia positiva, che è frutto della pressione di molti, ma il governo l’ha raccolta positivamente.

Al referendum potranno votare anche i fuori sede mentre il sistema non è stato previsto per le comunali. Siete comunque soddisfatti?

Stiamo cercando di consolidare l’idea che sia possibile sempre votare per le persone che vivono fuori dal luogo di residenza per ragioni di studio, di lavoro o di cura. Votare per il referendum è più semplice, perché il quesito è uguale. Ovviamente, in tutta Italia, si può votare ovunque senza dover poi inviare quelle schede in un determinato seggio. Occorre che negli anni si consolidi l’idea che sia possibile pre-iscriversi o segnalare l’esigenza di voler votare fuori sede. È un meccanismo molto complesso. Io credo che sia possibile votare in tutte le elezioni. Spero che sia l’ultima volta in cui viene emesso un ostacolo. È positivo che ci sia questa apertura, ma è necessario che stabilisca una volta per tutte che per tutti i turni elettorali è ampiamente possibile farlo, si possa votare per tutte le categorie di fuori sede.

Elly Schlein si è schierata a favore del referendum contro il Jobs act ma le divisioni con i riformisti restano. Come pensate di superarlele?

Beh, non è una opinione personale della segretaria, è una decisione che ha assunto il partito nella Direzione nazionale di qualche settimana fa, quindi una decisione del partito. Io credo che il Jobs Act sia un provvedimento ampiamente superato da diverse sentenze della Corte Costituzionale nei suoi tratti più contestabili e quindi io credo che sia una cosa scontata che si voglia superare quella norma e che si guardi oltre. Noi abbiamo problemi più rilevanti adesso per quel che riguarda il mercato del lavoro, per esempio il salario minimo. Sono le battaglie di questi mesi e di questi anni: un enorme problema di stipendi perché le persone guadagnano poco. Quindi noi diciamo stipendi più alti, investire sulla sanità pubblica, consentire a tutte le persone di frequentare la scuola e di conseguire i livelli più alti di studi a prescindere dalla condizione economica. Queste sono le battaglie di oggi. Bel frattempo superare il Jobs Act è giusto e quindi il Partito Democratico ha preso una decisione chiara in questo senso.

Se il referendum sulla cittadinanza dovesse passare cosa significherà per  2,5 milioni di persone?

Anche qua cerchiamo di superare una cosa che non ha più senso. Il fatto che la cittadinanza sia legata al sangue, al fatto che si abbiano parenti, genitori italiani anche se non hanno vissuto in Italia per molto tempo può essere un fatto positivo, ma certamente dimezzare il numero di anni di residenza in Italia, dopo i quali sia possibile chiedere la cittadinanza, è un segno di buon senso. Non cambieranno i requisiti, che sono piuttosto complessi per ottenere la cittadinanza (dalla lingua, a un reddito certo, fino al fatto di essere incensurati). Quindi, ha senso che ci siano persone che, se stanno qui, se pagano le tasse perché lavorano qui, possono avere tutti i requisiti che corrispondono all’essere cittadini e cittadine italiani.

Nel testo della risoluzione unitaria del Pd si chiede “una radicale revisione del piano di riarmo proposto dalla Presidente Von der Leyen”, come chiedeva la segretaria Schlein. In che modo va cambiato?

Semplicemente noi diciamo una cosa: occorre che si dia come priorità quella di una della costruzione di una difesa comune europea. Noi chiediamo, anzitutto, che si costruisca anche assieme al rafforzamento delle difese nazionali, che sono quelle operative al momento e cosa che è necessario fare, una difesa europea che razionalizza la spesa e che consente di essere realmente autonomi. L’Europa adesso è di fronte a una sfida epocale e questo crea uno sconvolgimento in tutti noi. Guardiamo cosa ha fatto il governo che è diviso su tre posizioni: c’è chi è favore, c’è chi non sa bene cosa dire, cioè la presidente del Consiglio Meloni, c’è chi è totalmente contrario come la Lega. Noi abbiamo trovato una nostra compattezza dicendo: “Miglioriamo radicalmente questo piano perché l’Europa sia realmente autonoma, sicuri di non poter ricevere una telefonata dagli Stati Uniti in cui ci dicono: ‘No, adesso vi spegniamo tutto e questo strumento di difesa non può funzionare più perché l’abbiamo deciso noi'”. Al momento è così e noi dobbiamo invece costruire un rafforzamento anche dell’industria e del mercato comune della difesa in Europa. Per questo governo, ed è una cosa drammatica, l’Europa e gli Stati Uniti sono la stessa cosa. Sia la presidente del Consiglio, sia i tanti interventi da parte della maggioranza, dicevano questo: “Noi abbiamo una posizione per cui capiamo con chi dialogare meglio tra Europa e Stati Uniti”. Ma l’Europa siamo noi. Gli Stati Uniti sono loro e adesso stanno dicendo che l’Europa è stata una grandissima macchinazione contro gli Stati Uniti, che è una balla colossale perché l’Europa nasce da una volontà delle democrazie del secondo Dopoguerra di difendere la propria libertà così difficilmente conquistata dopo decenni di terribili dittature. Questo governo sta facendo una scelta che è totalmente contraria agli interessi dell’Italia.

Negli scorsi giorni Conte ha detto senza troppi giri di parole che il no al piano di riarmo del Pd può essere una base per costruire un’alleanza. Come rispondete?

La nostra posizione è molto chiara e credo sia differente da quella dei 5 Stelle. Dobbiamo dirci con chiarezza qual è la differenza adesso. Noi, per esempio, non deflettiamo per nulla rispetto alla nostra posizione, che abbiamo costantemente da due anni, sul sostegno all’Ucraina, a un percorso verso una pace che sia realmente giusta e duratura. Questo credo che sia un punto fondamentale per noi, così come è fondamentale costruire meccanismi di migliore integrazione della difesa europea, tra difese nazionali e la costruzione di una difesa europea. La difesa dell’Europa passa per il coordinamento della difesa tra gli Stati e anche di una vera e propria difesa europea con un esercito europeo. Conte, quando era al governo, ha fatto delle scelte anche di investimento sulla difesa che erano necessarie. Noi sappiamo e vogliamo costruire un’alleanza con loro ma l’alleanza si fa sulla chiarezza. Non credo che le parole che lui ha espresso nelle ultime settimane, molto dure rispetto alle nostre posizioni siano siano condivisibili, ovviamente. Però insomma, se lui si trova nelle cose che diciamo noi, siamo comunque contenti.

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