In sintesi: la megasiccità che sta colpendo oggi quel settore delle Ande darà un duro colpo alle “torri dell’acqua” dei prossimi decenni. Il capitale d’acqua della criosfera cilena è stato eroso e non verrà rimpolpato per secoli, forse millenni.

La scoperta delle “megasiccità”

«Le megasiccità sono definite principalmente per la loro durata», dice Pellicciotti, che racconta: «Eravamo lì per studiare l’ambiente glaciale quando questa megasiccità è iniziata, nel 2010. I primi due o tre anni gli esperti la osservavano. Il Cile ha ogni due o tre anni una siccità, un ciclo legato al fenomeno di El Niño. Generalmente sono cicli che durano uno o due anni. Quest’ultima è iniziata, ha continuato, e non è ancora finita. René Garreaud, un famoso climatologo cileno, l’ha chiamata megadrought, megasiccità, e oggi questi eventi vengono studiati in tutto il mondo.

Un evento così, spiega Pellicciotti, «non ha precedenti». E questo è importante, perché «stiamo assistendo ad un evento storico, che nessun modello climatico è stato in grado di prevedere, e che ancora non sappiamo spiegarci», conclude l’esperta.

In un contesto molto più caldo, fino a +4,5 °C nelle zone glaciali, è ragionevole attendersi che le megasiccità future saranno almeno altrettanto severe quanto quella in corso. Questo significa tassi di fusione più elevati, maggiore evaporazione e soprattutto minore resilienza del sistema idrologico montano.

Dopo il 2050, tra vent’anni circa, una volta diminuito il ghiaccio non ci sarà più un ammortizzatore naturale in grado di sostenere città, agricoltura e industrie durante periodi prolungati di siccità.

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