L’attenzione di chi ha a cuore la salute del pianeta è rivolta in questi giorni a Belém, nella foresta amazzonica, dove fino al 21 novembre si tiene la 30esima Conferenza delle Parti della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, la Cop30: 50mila delegati da tutto il mondo stanno discutendo del futuro climatico della Terra, a 33 anni dall’Earth Summit di Rio de Janeiro, nel quale furono firmati gli storici Accordi di Rio, e a ben 53 dal meeting di Stoccolma nel quale per la prima volta si affrontò il tema dell’impatto delle attività umane sull’ambiente.
L’ottimismo di poterlo fermare, o contenere, è minore di allora. Mancano appena cinque anni per raggiungere i Sustainable Development Goals fissati dalle Nazioni Unite al 2030, e le emissioni di CO2 continuano ad aumentare, pur se meno velocemente che in passato. Subito dopo il meeting di Rio, Lvmh, oggi il più grande gruppo del lusso al mondo, inaugurò il suo “dipartimento per l’ambiente”, primo passo del percorso verso la sostenibilità dell’industria della moda, consapevole di essere fra quelle con un maggior impatto sulle risorse e il benessere della Terra.
The Fashion Pact lancia l’acceleratore europeo
A 33 anni di distanza, cresciuta fino a diventare un business globale da 1,3 trilioni di dollari, la moda è ancora la seconda industria per consumo di risorse idriche ed è responsabile del 2-8% delle emissioni globali di gas serra. Ma per molti attori, anche se certo non per tutti, l’impegno a migliorare è autentico: proprio il giorno dell’apertura della Cop30, The Fashion Pact (ong che coinvolge i ceo di gruppi e aziende del settore, come Chanel, Zegna, Moncler e Prada, per raggiungere le emissioni zero alla moda) ha presentato un nuovo progetto, l’European Accelerator, per supportare il calo delle emissioni dei fornitori lungo tutta la filiera, a partire da quella italiana, attraverso un’armonizzazione dei dati raccolti, per una loro migliore comprensione, ma anche un accesso a finanziamenti per permettere ad aziende spesso di piccole dimensioni di affrontare complesse transizioni, dal momento che la decarbonizzazione del sistema moda europeo, secondo una stima di Teha Group, potrà costare 4,4 miliardi di euro entro il 2030.
Da Patagonia a Eurojersey: l’impegno delle imprese
La strada verso l’impatto zero è ambiziosa, ma ricca di incertezze e ostacoli anche per gruppi “nativi-sostenibili” come Patagonia, che tre anni fa ha deciso di dare la sua spallata al capitalismo estrattivo cambiando assetto societario a favore del pianeta Terra (si veda il colonnino in pagina). Il suo report di sostenibilità più recente, il primo da quell’atto rivoluzionario, si chiama significativamente “Work in Progress”, e oltre a elencare gli obiettivi raggiunti (come la totale eliminazione dei pericolosi Pfas dai prodotti) con onestà ammette quelli che sono più complessi da ottenere: per esempio, nonostante si sia fissato il 2040 come anno delle emissioni zero, Patagonia nell’anno fiscale 24-25 ha emesso ancora 178.711 tonnellate cubiche di CO2, e per quanto la ricerca tecnologica sia seria e incessante, la percentuale di utilizzo dei materiali sintetici riciclati è all’84%, quando l’obiettivo era la totalità. Casi come quello di Patagonia, certificata B Corp già dal 2011 e con un punteggio di anno in anno migliore, sono esempi0 per tutta l’industria. In Italia, a stilare approfonditi report di sostenibilità è per esempio Manteco, azienda tessile del distretto di Prato, che grazie a brevetti come ReviWool nel 2024 ha risparmiato 80mila tonnellate di CO2 equivalente (il 19% in meno del 2023), oltre 14 ettolitri cubici di acqua (-18,95%) e 167,81 terajoule di energia (-22,72%). Restando nel tessile, nel più recente Footprint Report di Eurojersey, azienda del gruppo Carvico, attraverso innovativi sistemi di climatizzazione e recupero delle acque, è riuscita a far calare dell’11% il consumo energetico per unità di tessuto prodotto.«Le aziende e la società possono mettere fine a questa apatia, a questa fatale forma di capitalismo estrattivo che ci ha portato qui – ha scritto Yvon Chouinard, fondatore di Patagonia, nell’introduzione al report -. Ma dobbiamo fare il primo passo».
