Nelle banche, nei mesi scorsi, si sono susseguiti diversi accordi sindacali con cui lo smart working, usato prevalentemente nel back office e nelle direzioni generali, ha cominciato ad essere sperimentato anche nelle filiali. È un settore il credito che, con le assicurazioni, vanta alcune tra le esperienze più mature su questa forma di flessibilità che è la più utilizzata per migliorare la conciliazione vita lavoro delle persone. L’estrema versatilità dello strumento ha fatto sì che molte società lo abbiano usato anche con altre finalità, come l’ottimizzazione dei costi energetici e di gestione delle sedi, in alcuni casi con le chiusure il venerdì o durante le ferie, o la loro ristrutturazione o gravi emergenze. Nel nostro Paese, esclusi alcuni casi di richiamo delle persone in ufficio, la scelta delle aziende è stata quella di andare avanti nell’utilizzo e capire come fare evolvere lo strumento. A dirlo sono i numeri dell’Osservatorio del Politecnico di Milano che saranno presentati il 28 ottobre e di cui diamo un’anticipazione. Dopo la leggera diminuzione dello scorso anno, nel 2025 l’Osservatorio stima che siano 3.575.000 le persone che hanno lavorato da remoto per una parte del loro tempo lavorativo, in crescita dello 0,6% rispetto al 2024. Nelle grandi imprese gli smart worker si riavvicinano al livello del periodo pandemico, quando è stata raggiunta la soglia numerica tecnica di chi può lavorare in questa modalità.

L’andamento positivo

Per i manager il vero interrogativo oggi non riguarda più se riportare le persone in sede, ma il perché e come farlo, cercando di raggiungere una maggiore maturità nell’uso dello strumento che si evolve, come si evolve il lavoro, anche per via della tecnologia e dell’intelligenza artificiale. I dati positivi raccolti dall’Osservatorio acquistano maggior valore anche perché sono depurati dalle questioni normative. Rispetto al passato, la crescita complessiva poggia su basi più solide poiché non è legata a vincoli: il diritto all’utilizzo dello smart working per i soggetti fragili, ad esempio, non è più presente anche nel settore privato da gennaio 2024. Vediamo. Aumentano gli smart worker delle grandi imprese che sfiorano i 2 milioni (1,945), un numero tornato molto vicino al livello pandemico quando erano 2,1 milioni, la soglia tecnica massima: questo significa che circa il 53% delle persone nel 2025 lavora da remoto. Aumentano anche gli smart worker del settore pubblico che in totale sono 555.000: stiamo parlando del 17% del personale della Pa, dove il ministro Paolo Zangrillo ha avuto un approccio più favorevole allo strumento rispetto al suo predecessore. Oggi nel 67% delle Pa (in crescita del 6% rispetto al 2024) sono presenti iniziative di smart working, un dato che non tiene conto dell’ulteriore 10% di realtà in cui è presente il solo lavoro da remoto, il telelavoro. Nelle piccole e medie imprese, invece, la tendenza si inverte: i lavoratori da remoto si riducono e rappresentano l’8% del totale in queste organizzazioni.

LA RIPRESA DELLO SMART WORKING

Loading…

Il potenziale di crescita

Nei numeri dello smart working c’è ancora molto potenziale di crescita. Il professor Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio smart working del Politecnico di Milano, individua questo potenziale nel serbatoio delle micro, piccole e medie imprese che sono nel complesso il 95% del totale economia in Italia. « Il 21%, il 45% se consideriamo esclusivamente i profili white collar, di coloro che oggi non lavorano da remoto dichiara che potrebbe svolgere almeno la metà delle sue attività da un luogo diverso rispetto alla sede, garantendo almeno pari efficacia e con la dotazione tecnologica attuale – spiega -. Questo ci permette di ipotizzare che si potrebbero aggiungere circa 2 milioni di nuovi smart worker, passando dagli attuali 3,75 milioni ai circa 6 milioni di persone che hanno lavorato da remoto durante il picco della pandemia. Questo dato potrebbe crescere ulteriormente considerando i lavoratori delle microimprese per i quali non disponiamo di stime specifiche». Serve però un salto culturale. «Nella gran parte delle realtà produttive lo smart working è possibile con le attuali dotazioni tecnologiche. Il salto è un altro: organizzazione, managerialità, cultura», interpreta Corso. E aggiunge: «Se correttamente implementato è uno degli strumenti di flessibilità più apprezzati dalle persone, come emerge puntualmente dalle survey aziendali sul clima e sugli strumenti di flessibilità, ed è anche per questo che le aziende più illuminate nel nostro Paese non tornano indietro. In Italia non abbiamo assistito a quella spinta al rientro in ufficio che ha fatto molto clamore negli Stati Uniti dove è stata lanciata da alcune grandi società del mondo tech».

Il maggiore utilizzo

Crescono le persone coinvolte, ma cresce anche l’utilizzo, soprattutto nelle grandi imprese: sono infatti solo il 15% le persone che lavorano da remoto meno giorni rispetto a quelli previsti dall’accordo siglato con la propria organizzazione, mentre l’85% utilizza tutti i giorni a disposizione. La principale motivazione indicata da chi usa meno giorni è la necessità di andare in sede per far fronte a urgenze o emergenze. Nelle Pa, invece, l’incidenza del sottoutilizzo è del 28% e la principale motivazione risiede in una scelta personale, basata sulla percezione che il numero di giornate di lavoro da remoto sia maggiore rispetto a quanto necessario. Nelle Pmi la situazione è più eterogenea: solo il 49% lavora da remoto per i giorni definiti dall’accordo, gli altri si dividono tra chi utilizza di meno questa possibilità (22%) e chi la usa di più (15%). Alla base della disomogenità c’è un approccio più informale allo smart working nelle piccole realtà, che consente maggiori deroghe rispetto ai modelli che prevedono la formalizzazione di policy e regolamenti.

La presenza di policy o accordi

Tra le grandi aziende le policy o gli accordi sindacali rimangono stabili e sono quasi sempre presenti: ne ha una il 95% delle organizzazioni. Tra le Pmi il 45% delle aziende adotta delle iniziative – dato in calo di 8 punti percentuali rispetto al 2024 -, ma prevale una gestione informale, in cui la flessibilità deriva più da un accordo tra il lavoratore e il proprio responsabile che da una decisione strutturata e definita a livello organizzativo. A influenzare la diffusione di policy o accordi sindacali è soprattutto la dimensione aziendale: nelle realtà di piccole dimensioni il calo delle iniziative è più consistente (-8%), mentre nelle medie, oltre ad essere più contenuta (-4%), c’è una crescita delle iniziative strutturate che arriva al 27% (+7% rispetto al 2024).

Condividere.
Exit mobile version