Il vento sembra essere cambiato e, almeno per questa settimana, soffia con forza in favore di Kyiv. Una raffica di misure punitive sul petrolio russo voluta dagli Stati Uniti, affiancata da un corposo nuovo pacchetto di sanzioni UE, ha preceduto l’arrivo a Bruxelles del Presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che ha potuto presentarsi al Consiglio Europeo con un umore decisamente risollevato. A innalzare il morale di Kyiv è stata anche la notizia del via libera di Washington per la fornitura di sistemi missilistici Patriot, essenziali per blindare i cieli ucraini.
L’attenzione dei leader europei, dunque, si è immediatamente concentrata sull’opzione più ambiziosa per finanziare lo sforzo bellico: l’utilizzo dei circa 140 miliardi di euro di asset della Banca Centrale Russa congelati in Europa.
Zelensky al consiglio UE, 23 10 2025 (Rainews)
Ma sul dossier serve cautela
Zelensky è stato cristallino e, con una mossa studiata, ha cercato di “ingolosire” i partner europei: “Abbiamo intenzione di utilizzare una parte significativa di questi soldi per acquistare armi europee“, ha detto in conferenza stampa, sottolineando come la sola ipotesi di questa confisca incuta “molta paura” al Cremlino. L’obiettivo è chiaro: trasformare il potenziale risarcimento di guerra in un meccanismo di finanziamento sia della base industriale ucraina che, indirettamente, di quella europea.
Non a caso, la Svezia ha già mostrato la strada con un pre-accordo per la possibile fornitura di 100-150 jet Gripen, un ‘deal’ a sorpresa che ha messo in subbuglio gli altri partner.
Tuttavia, il nodo giuridico e politico che pesa sul dossier ha subito ammorbidito le conclusioni finali del vertice UE. Le bozze della vigilia, che impegnavano i 26 all’uso degli asset, sono state edulcorate: l’Ungheria si è tenuta da parte e i leader si sono limitati a invitare la Commissione a presentare al più presto delle “opzioni” di finanziamento. Unica certezza: i beni “dovranno restare immobilizzati” fino a quando Mosca non avrà risarcito Kyiv per i danni di guerra.

Il Premier belga Bart De Wever al Conisglio Europeo 23 ottobre 2025 (Ansa)
Il veto belga
La cautela non riguarda solo i timori di ritorsioni da parte di Putin, ma anche la complessa architettura finanziaria. Il dibattito si è protratto ben oltre il previsto, tra resistenze manifeste e dubbi serpeggianti. Se la Slovacchia nicchia e la Repubblica Ceca mostra incertezze post-elettorali, è il Belgio – sede della maggior parte dei beni russi in custodia presso Euroclear – ad alzare la voce.
Il premier Bart De Wever è entrato al Consiglio sbandierando la minaccia di un “veto” senza tre richieste chiave: la condivisione integrale dei rischi e delle garanzie e l’uso dello schema anche per i beni russi presenti al di fuori dei conti di Euroclear. In pratica, il Belgio, così come l’Italia, teme di ritrovarsi da solo a coprire i prestiti di riparazione se la Russia decidesse di non risarcire mai l’Ucraina.
Il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni al Consiglio Europeo a Bruxelles (LaPresse)
La posizione italiana
La presidente del Consiglio italiana, Giorgia Meloni, si muove con cautela: da Roma sono giunti diversi dubbi sulla percorribilità giuridica e finanziaria, ma Meloni sa bene che “un’alternativa all’uso degli asset russi, per l’UE, non c’è”, se non quella di sostenere l’Ucraina “di tasca propria”.
Geometrie variabili tra guerra e competitività
Mentre la palla passa ora alla Commissione – che dovrà trovare un testo legale che accontenti tutti i 27 prima del prossimo vertice – la realtà amara resta sullo sfondo: l’Ucraina ha bisogno di quattrini e in fretta, con le risorse vicine all’esaurimento.
Il Consiglio Europeo di ottobre si configura così come uno spartiacque, anche su un altro dossier cruciale: la competitività. Se sugli asset il cammino è in salita, sull’altro fronte caldo le cose sono andate diversamente. Grazie anche all’asse con il Cancelliere tedesco Friedrich Merz, l’Italia ha incassato l’inserimento di una “clausola di revisione” nei target ambientali del 2040 e un “riesame” in ottica di neutralità tecnologica delle norme sulle auto a benzina e diesel. Una mossa che ha lasciato insoddisfatti Francia e Spagna, ma che ha dato a Meloni, prudente sul fronte ucraino, una vittoria netta sul fronte industriale.
Il Consiglio si conclude con la percezione di un’Europa stretta tra la spada di Damocle della rapidità che la guerra impone e la necessità di superare le sue geometrie variabili, ancora appesantite dal pilastro dell’unanimità.
Friedrich Merz a Bruxelles per il Consiglio Europeo, 23 ottobre 2025 (Afp)
