C’è stato un momento nel quale, soprattutto a Parigi, il prêt-à-porter maschile ha operato come un laboratorio fermentante, forse il solo luogo di vero progresso modaiolo in uno scenario in linea generale stagnante. Quelle istanze di rottura sembrano al momento essersi acquietate. Le sfilate di questi giorni procedono senza grandi sorprese, ma nemmeno cocenti delusioni, in una medietas che è una sorta di nuova mediocrità. Il femminile – o meglio i codici di quel che fino ad ora è stato normalizzato come tale – è stato ampiamente accolto nel maschile, e questo continua a produrre una pervasiva gentilezza di forme.

Da Dior Homme, ad esempio, Kim Jones cita sovente le silhouette couture di Monsieur Dior, contestualizzandole all’interno di un guardaroba nel quale la sartorialità e il lavoro di atelier si sposano a linee sovente generose, pensate per una clientela di post adolescenti – veri, o aspiranti ad esserlo – dal lauto potere di spesa, che hanno introiettato la sveltezza dello streetwear ma ne rifiutano la pigrizia. Nata dal dialogo con il ceramista Hylton Nel, presentata tra gli animali giganti e un po’ infantili di quest’ultimo, la collezione reitera il pensiero con benvenuta concentrazione. C’è qualcosa di pradesco nei colli da marinaretto, che però sono di ceramica, così come nello spirito aleggiante della divisa da creativo rigoroso. Ma c’è anche una frivolezza asciutta e molto Dior, e poi scarpe dalle suole di legno che danno al tutto un tono scanzonato.

Gli uomini di Rei Kawakubo per Comme des Garçons sono eterni discoli che, vestiti come cicisbei di una pièce post-moderna o neo-Bauhaus, rincorrono per sempre la ribellione dell’età infantile, con i loro bermudoni di raso, le calzine corte, le scarpe con il volant, le marsine di tulle e le creste punk ma fatte con le forcine kawai. Il tripudio di costruzioni stratificate è espressione di una inesauribile verve inventiva, ma non è nemmeno nulla che l’immaginifica Kawakubo non faccia ormai da anni.

Monotematico ma caleidoscopico, Junya Watanabe affronta il tema dell’abito sartoriale classico usando il denim e il patchwork per stravolgere il formale senza alterarne i contorni. La prova è una successione di variazioni che poco derogano una dall’altra, ma che si traducono in un prodotto convincente.

È sostanzialmente una riproposizione del noto, seppure di una leggerezza scattante e dinamica, lo show di Y-3, il pionieristico esperimento di fusione tra performance di Adidas e visione stilistica di Yohji Yamamoto, lanciato nel 2003 e da allora settato su un percorso di perpetua decostruzione. Dopo oltre venti anni, le tre strisce sul nero e il blu da monaci della moda continuano ad affascinare, anche se sono passate dallo status di rottura a quello di classici.

Condividere.
Exit mobile version