“Ho sentito quando Giulio Regeni veniva torturato, si lamentava e parlava in arabo”, è il racconto di ‘Delta’ il testimone sentito nel processo ai quattro agenti egiziani accusati di aver sequestrato, torturato e ucciso il ricercatore nel 2016.
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“Ho sentito quando Giulio Regeni veniva torturato, si lamentava e parlava in arabo”, è il racconto di ‘Delta’, il testimone protetto sentito nel processo a carico di quattro 007 egiziani accusati di avere sequestrato, torturato ed ucciso il ricercatore italiano.
Il super testimone ha raccontato di aver visto Regeni per la prima volta nel commissariato Dokki, in Egitto. “Eravamo stati arrestati entrambi il 25 gennaio del 2016. Lui chiedeva di potere parlare con un avvocato e con l’Ambasciata”, ha detto. “In commissariato stava parlando con un ufficiale, era vestito con dei jeans e un pullover celeste”, ha proseguito rispondendo alle domande del procuratore aggiunto Sergio Colaiocco.
Davanti alla prima corte d’Assise, il teste ha ricostruito le ore che hanno preceduto l’omicidio del ricercatore. “Ci hanno portato via, ci hanno fatto salire a bordo di un auto e ci hanno bendato gli occhi. Lui in auto ha continuato a chiedere di un avvocato, parlava in italiano. Io, che conoscevo la lingua per avere lavorato con una azienda italiana, l’ho fatto presente a chi era in auto ma mi hanno dati un pugno dicendomi: ‘vuoi fare il traduttore, lui parla arabo meglio di te'”, ha detto.
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Dopo i due sarebbero stati condotti in un ufficio sicurezza dello stato noto come il cimitero dei vivi, prima di essere divisi. “Giulio venne accompagnato nella sezione per gli stranieri. Non l’ho più visto ma sentivo quando veniva picchiato perché eravamo in stanze vicine: quando si tratta di torturare le persone questi non fanno differenze, non sono razzisti”, ha sottolineato.
Il testimone ha spiegato di esser stato arrestato il 25 gennaio del 2016 nelle proteste di piazza Tahrir. “Hanno preso un documento e mi hanno detto ‘vieni, sali’. Non c’è diritto di fare domande”, ha detto.
L’uomo ricorda che il ricercatore aveva con sé un cellulare, ma “è stato spento e gli è stato tolto”. Insieme al telefono gli sarebbero stati sequestrati anche documenti e portafoglio.
Il racconto del testimone “getta una luce ancora più inquietante su un caso che resta una ferita aperta per l’Italia e per chiunque abbia a cuore i diritti umani”, ha commentato la responsabile Giustizia del Pd Debora Serracchiani. “Regeni in commissariato chiedeva disperatamente un avvocato e di contattare l’ambasciata italiana. Nessuno gli ha dato ascolto ed è stato brutalmente torturato e ucciso”, ha aggiunto.
Per la dem, ” di fronte a questa ulteriore testimonianza agghiacciante, una domanda sorge spontanea: come è possibile che il nostro governo si ostini a considerare l’Egitto un Paese sicuro?”, ha domandato riferendosi al decreto Paesi sicuri, confluito sotto forma di emendamento, all’interno del dl Flussi. “Si tratta di una posizione insostenibile, soprattutto considerando che le autorità egiziane non solo non hanno collaborato nelle indagini, ma si sono rifiutate persino di fornire gli indirizzi dei principali indagati, ostacolando la ricerca della verità e della giustizia”, ha osservato.
Fuori dal tribunale di Roma, dove si è svolta l’udienza era presente anche la segretaria Elly Schlein. “Il processo va avanti e ci aspetta una udienza importante con una testimonianza significativa: noi ci siamo e ci saremo ogni volta per cercare la piena verità e giustizia che da troppi anni ancora aspettiamo”, ha detto.
Anche per Schlein è una “vergogna volere riconoscere nell’Egitto un Paese sicuro: l’Egitto non è un Paese sicuro, è un Paese in cui un ricercatore italiano è stato torturato e ucciso e in cui in migliaia di egiziana purtroppo ogni giorni incontrano la stessa sorte”, ha concluso.