Il Governo ritenta la strada del tetto alle valutazioni «eccellenti» dei dipendenti pubblici per provare a combattere il fenomeno endemico di pagelle e premi sostanzialmente uguali per tutti. Lo fa nel disegno di legge di riforma delle carriere nelle pubbliche amministrazioni che il ministro per la Pa Paolo Zangrillo punta a far arrivare domani sul tavolo del consiglio dei ministri, dopo il lungo confronto interno allo stesso Esecutivo. «Se tutto va bene lo esamineremo giovedì», ha confermato ieri il titolare di Palazzo Vidoni a margine della tappa romana del ciclo di incontri organizzati dal dipartimento della Funzione pubblica per discutere la «gestione strategica del personale».

Più poteri ai dirigenti

L’obiettivo, ha spiegato il ministro, è di «restituire, o meglio attribuire ai dirigenti la responsabilità della gestione della crescita delle persone», affiancando alle promozioni per concorso un percorso alternativo che passa dalla valutazione individuale di chi si candida dopo aver maturato un’esperienza da cinque anni come funzionario o di due anni come quadro (le «elevate qualificazioni»). Per i prescelti, con una valutazione individuale di una commissione formata da dirigenti interni ed esperti esterni, sarà previsto un periodo di prova di quattro anni, al termine del quale ci potrà essere la conferma nel ruolo se la nuova valutazione è positiva. Accanto a questo, in quello che potrà essere battezzato «Ddl merito» ci sarà appunto anche «un limite nella definigzione delle eccellenze», ha sottolineato Zangrillo, per ritentare l’addio al fenomeno fin qui invincibile dei pieni voti (e dei conseguenti premi in busta paga) attribuiti a tutti in modo di fatto indifferenziato. Sulla percentuale massima di «migliori» il ministro non ha voluto sbottonarsi, ma nelle bozze attese oggi al preconsiglio è indicato un tetto del 30 per cento.

La battaglia infinita

Il tentativo non è nuovo, perché la ricca storia di riforme della Pa contempla solo negli ultimi capitoli le «tre fasce» disegnate da Renato Brunetta nel 2009 (decreto legislativo 150), in un meccanismo che prevedeva di dividere le risorse del salario accessorio collegato alla performance individuale in due parti uguali per destinarne metà al 25% del personale, collocato in vetta alla classifica del “merito”, e metà al 50% dei dipendenti raggruppati nella fascia media, lasciando a secco l’ultimo 25% connotato dai giudizi più opachi. Questo sistema, nato negli anni delle polemiche anti-assenteismo e della lotta ai «fannulloni», produsse discussioni infinite ma scarsi risultati pratici, perché la sua rigidità accese la resistenza interna alle amministrazioni: resistenza coronata dal successo pochi anni dopo, quando arrivò il turno della riforma Madia. In quel caso si affidò ai contratti nazionali il compito di garantire una «significativa differenziazione dei giudizi», a cui far corrispondere un’effettiva diversificazione dei trattamenti economici correlati», come si legge all’articolo 19 del decreto legislativo 74 del 2017. I contratti si sono dedicati al tema con impegno e fantasia regolatoria ma, ancora una volta, senza grossi successi. Lo ha certificato la Corte dei conti nell’ultima relazione sugli «istituti di premialità» riconosciuti ai dipendenti dei ministeri (Sole 24 Ore del 21 maggio 2024): al 92% del personale è stato attribuito nel 2020-22 il massimo dei voti, con punte del 100% nei ministeri di Turimo e Università, del 98,8% all’Agricoltura e del 98,5% all’Economia, mentre solo alle Infrastrutture i «bravissimi» si sono fermati a un più credibile 58,6%.

Il «no» della Cgil

L’arrivo del provvedimento rischia di incendiare ulteriormente il terreno dello scontro fra Governo e sindacati che sta bloccando i rinnovi contrattuali. L’idea dei dirigenti senza concorso è stata subito accolta dal «no alla dicrezionalità» da parte della Cgil, che secondo la segretaria generale della Funzione pubblica Serena Sorrentino può «mettere a rischio la trasparenza» delle carriere. Cgil e Uil sui contratti «fanno politica», ha ribadito ieri il ministro, spiegando che lo stallo non può essere infinito e l’opzione alternativa dell’attribuzione unilaterale degli aumenti resta aperta. Ad aprile ci sono le elezioni delle Rsu poi, se il quadro non si muoverà, è possibile che si passi ai fatti entro l’estate. Nel frattempo, aggiunge l’inquilino di Palazzo Vidoni, «stiamo lavorando» agli atti di indirizzo per i dirigenti.

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