La sentenza n. 192/2024 della Corte costituzionale ha dichiarato illegittime o ha reinterpretato molte norme della legge n. 86/2024 sull’autonomia differenziata, accogliendo tutte le maggiori obiezioni che erano stare rivolte alla legge. Le parti residue sono di fatto inapplicabili. E spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua discrezionalità – come ha affermato la Corte – colmare i vuoti che così si sono determinati, in modo da assicurare, nel rispetto dei principi costituzionali, la piena funzionalità della legge.

La sentenza ha modificato sostanzialmente “i principi ispiratori” della legge Calderoli e la giurisprudenza della stessa Corte afferma che in tal caso il referendum non debba più svolgersi. Ma l’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di Cassazione – cui compete la valutazione sulla modifica dei principi ispiratori – il 12 dicembre scorso ha ritenuto di dare comunque corso al referendum abrogativo sull’intera legge, bloccando solo il referendum abrogativo parziale.

La Cassazione – ad avviso di chi scrive – ha compiuto un grave errore in quanto, anziché raffrontare i principi ispiratori della legge prima e dopo la sentenza della Consulta, ha preso in considerazione, ai fini del raffronto, i principi ispiratori dell’art. 116, terzo comma, della Costituzione (pag. 33 dell’ordinanza «evidenziandosi come quello che resta della legge n. 86/2024 costituisca pur sempre un sostrato dispositivo bastevole a dare corso, seppure con i necessari interventi parlamentari di adeguamento, al disegno fondamentale ed ai principi ispiratori ex art. 116, co. 3° Cost., come introdotto nel 2001»). Ma i principi ispiratori dell’articolo 116, terzo comma, non c’entrano nulla perché il referendum non riguarda questo articolo della Costituzione, ma il modo con cui la legge Calderoli ha inteso darne attuazione.

Nonostante questa decisione della Cassazione, non è però detto ancora che il referendum si tenga. Spetta infatti alla Consulta pronunciarsi entro il 20 gennaio sull’ammissibilità del referendum. Secondo la giurisprudenza costituzionale il quesito referendario deve avere il requisito della chiarezza, semplicità e non contraddittorietà, per essere intellegibile e non coartare la libertà di voto dell’elettore. Ha tali requisiti un referendum riguardante un simulacro di legge inapplicabile di cui non sarebbe neppure ravvisabile la portata politica e giuridica? Sembra proprio di no. Due esempi per chiarirlo:

1) Il ruolo del Parlamento. La legge Calderoli esautorava le Camere che potevano solo “prendere o lasciare”. La Corte ha detto che queste norme sono costituzionalmente illegittime e che il Parlamento deve invece avere un ruolo fondamentale nel procedimento di formazione e approvazione delle leggi di devoluzione e differenziazione. Ma tale procedimento allo stato non esiste, potrebbe essere – ad esempio – quello adottato nel 1971 per la formazione e approvazione degli statuti delle regioni a statuto ordinario o anche un altro tipo di procedimento ancora da definire. Ma allora su cosa votano gli elettori se le vecchie norme non ci sono più e le nuove non ci sono ancora?

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