Il riarmo europeo è “un primo passo necessario” ma poi “subito, un unico comando con un’unica strategia per un unico esercito” europeo. Lo ha detto l’ex presidente del Consiglio, ed ex presidente della Commissione europea, Romano Prodi, intervenendo ieri sera nel programma di Fabio Fazio Che Tempo che fa.

Il riarmo, ha spiegato Prodi, “è una tappa per arrivare alla difesa comune, questo mi auguro, vedo e spero. Sono anni che predico la difesa comune, è necessario andare in questa direzione. Quando la Russia attaccò l’Ucraina mi dissi ‘se avessimo avuto un esercito comune, non lo avrebbe fatto’. Poi l’America ha unito gli europei dietro di sé. Ora si deve cominciare con quello che si può fare oggi, poi subito dopo un comando unico. Dentro o fuori della Nato, lo diranno le circostanze”.

Secondo l’ex premier si deve procedere con chi ci sta, perché “l’unanimità è antidemocratica” e lo stallo deve essere superato con le “maggioranza qualificate”, come è stato fatto con l’euro. “Orban non vuole l’esercito europeo? Stia fuori” ha detto ancora Prodi. Certo, non si potrà fare un esercito “in cui uno comanda e l’altro paga”, come la Francia che ha le testate atomiche e il diritto di veto all’Onu e la Germania che non ha né le une né l’altro, ma un budget di spese per la difesa doppio rispetto a quello francese. Prodi ha anche avuto parole dure per il “cinismo” di Trump nei confronti di Zelensky. “Lui e il suo vicepresidente come Gianni e Pinotto” ha sottolineato l’ex leader dell’Ulivo.

L’esercito comune sarebbe, dunque, il migliore strumento per “garantire la nostra sicurezza – dice ancora Prodi – con spese limitate e nella tutela dei diritti maturati e delle conquiste democratiche”. E se fosse stato al posto di Von der Leyen, ha osservato l’ex premier, “sarei partito dalle difesa comune” e non dal riarmo, ma “siamo onesti: questo è un passo che può spingere alla difesa comune”. Quella in cui “c’è un comando comune a cui tutti partecipano. Capisco che ci voglia tempo, ma nei prossimi giorni mi aspetto più politica e meno armi”.

I riformisti, contrari alla linea Schlein, guardano a Gentiloni e Guerini

Insomma, il dibattito all’interno del Partito democratico – per non parlare dell’intero schieramento di centrosinistra, dove le posizioni si diversificano ulteriormente – è più vivo che mai. Dentro il principale partito di opposizione, la linea della segretaria Schlein, contraria in principio, spinge l’ala riformista – incarnata da Alessandro Alfieri – a guardare alle correnti più moderate, che virano al centro: a Paolo Gentiloni e a Lorenzo Guerini (ex ministro della Difesa, tra l’altro, e presidente del Copasir). In una posizione scomoda si è messo il capo della minoranza, Stefano Bonaccini, che (pur facendo riferimento ai riformisti) ha ribadito il concetto espresso da Schlein, sul no al riarmo.

Schlein: “Sul no al riarmo insisteremo. Il Pd è plurale ma poi si decide”

Sulla posizione a proposito del riarmo europeo, del resto, la segretaria era stata chiara venerdì scorso, quando aveva rilanciato la sua guida del Pd in alcune interviste. Quanto alle sensibilità diverse all’interno del Partito democratico, Elly Schlein ha ribadito in un’intervista al Corriere della Sera che “siamo un partito plurale, è normale discutere. Poi però la posizione che ha assunto il Pd con il suo organo ufficiale è quella e quella è stata votata senza voti contrari o astenuti. È importante discutere ma è importante anche decidere”.

In più, va ricordato, la leader dem ha una visione diversa da altri suoi colleghi socialisti in Europa, come Sanchez in Spagna e il Partito socialista francese. “Sicuramente noi italiani siamo i più critici e riteniamo che la strada proposta da Von der Leyen non sia quella che serve all’Ue: noi vogliamo una difesa comune, non il riarmo dei 27 Paesi. Quel piano non prevede investimenti comuni” spiega Schlein, proponendo flessibilità per incentivare la spesa nazionale. “Ma se non condizioni gli investimenti a progetti comuni non c’è nessun passo avanti” e adesso “continueremo a insistere, sperando di trovare altre convergenze con i socialisti”.

“La nostra proposta – ha spiegato ancora la leader del Pd – è quella di un Next Generation da 800 miliardi l’anno sui capitoli sociali, industriali, ambientali e digitali e anche sulla difesa comune. Le priorità devono essere quelle sociali indicate ai tempi del Covid, serve un piano europeo che anticipi l’impatto dei dazi di Trump. E lo stesso coraggio di allora” ha osservato la segretaria, ribadendo che “non è normale non sapere che posizione Meloni ha portato ai tavoli di Parigi, Londra e Bruxelles. Le abbiamo chiesto di venire in Parlamento a spiegarcela, non è venuta. Il problema è che il governo ha […] posizioni diverse: Tajani dice sì alle proposte di Von der Leyen sul riarmo, Salvini è contrario e [… Meloni] non vuole contraddire Trump per ragioni ideologiche, e così relega l’Italia ai margini di una discussione in cui potrebbe essere protagonista. Siamo già passati dalla relazione privilegiata con Washington al ruolo di vassalla di un piano per disgregare l’Ue”.

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