In Sicilia il fisco pesa più che altrove. È quanto emerge dall’Osservatorio Fisco 2025 della Cna, che fotografa la situazione delle piccole imprese italiane attraverso l’indicatore del Total Tax Rate (Ttr). Secondo l’Osservatorio, cui la Cna Sicilia dedica oggi un approfondimento, la percentuale del reddito d’impresa che finisce in imposte, tasse e contributi nelle province dell’isola è più alta della media nazionale soprattutto in alcune aree. Il dato medio nazionale, nel 2024, si è attestato al 52,3%, ma la Sicilia supera ampiamente questa soglia, collocandosi tra le regioni con la più alta pressione fiscale del Paese.
Un’isola a tassazione differenziata
Nessuna altra regione italiana presenta una tale eterogeneità nei carichi fiscali locali. Dal 50,9% di Enna al 57,4% di Agrigento, la forbice tra province siciliane tocca i sette punti percentuali. La media regionale resta intorno al 53%, ma in quasi tutte le province le imprese siciliane devono lavorare fino a metà luglio per saldare i conti con il fisco: circa una settimana in più rispetto alla media italiana e quasi un mese in più rispetto al Trentino-Alto Adige, dove il Ttr scende sotto il 47%.
Agrigento, la capitale della pressione fiscale
La città dei Templi si aggiudica la maglia nera nazionale. Con un Ttr del 57,4%, Agrigento è ultima su 114 capoluoghi di provincia italiani. Le cause sono note: Imu altissima sugli immobili produttivi (oltre 9.800 euro l’anno) e Tari pesante, dovuta anche a costi strutturali e inefficienze nella gestione dei rifiuti. Qui il Tax Free Day, il giorno in cui l’imprenditore comincia idealmente a guadagnare per sé, cade il 28 luglio: due settimane dopo la media nazionale e quasi un mese dopo Bolzano, dove la stessa data si ferma al 1° luglio. Anche le aree metropolitane non stanno meglio. A Catania, il Ttr si attesta al 54,9%, un livello da record tra le grandi città del Sud; a Messina è al 53,9%, mentre Palermo si ferma al 51,7%, poco sotto la media regionale ma comunque lontana dai livelli del Nord. Le tasse comunali, unite alla struttura produttiva fragile e alla scarsa efficienza amministrativa, spingono verso l’alto la pressione complessiva. Nel capoluogo siciliano, il Tax Free Day cade attorno al 10 luglio: significa che fino a quella data un artigiano o un piccolo commerciante lavora solo per pagare imposte e contributi.
Le province “meno tassate”: Enna e Ragusa
Piccoli segnali positivi arrivano da Enna (50,9%) e Ragusa (51,9%), le due realtà più virtuose dell’isola. In questi territori, il minore peso della fiscalità locale e la presenza di un tessuto imprenditoriale più coeso consentono alle imprese di respirare un po’. Ma il vantaggio resta relativo: anche qui il Ttr resta sopra il 50%, mentre nel Nordest molte realtà si fermano ben al di sotto.
Un fisco che penalizza le microimprese
L’analisi della Cna sottolinea che, per le imprese individuali e artigiane, il peso maggiore non deriva tanto dalle imposte sui redditi, quanto dai tributi comunali e dai contributi previdenziali. La deducibilità completa dell’Imu dal reddito d’impresa, introdotta nel 2022, ha attenuato solo parzialmente il divario territoriale: le città dove l’Imu è più alta — come Agrigento, Catania e Trapani — continuano a registrare livelli di pressione fiscale insostenibili. Mentre al Nord la combinazione tra buone pratiche amministrative, servizi efficienti e imposte locali contenute riduce il peso del fisco, nel Mezzogiorno la situazione resta critica. Il Trentino-Alto Adige, con un Ttr del 46,7%, è la regione più virtuosa d’Italia. Seguono Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, tutte sotto il 50%. In fondo alla classifica, oltre alla Sicilia, si trovano Sardegna e Molise, dove la tassazione media supera il 54%.