In quattro punti contenuti nella deliberazione della sezione centrale sul controllo di legittimità sugli atti del governo la Corte dei conti mette in fila i punti critici che il 28 ottobre scorso hanno portato al rifiuto di registrazione della delibera Cipess sulla quale poggia l’iter per il Ponte sullo Stretto. Una bocciatura che colpisce l’atto su più fronti: dalla violazione della direttiva Habitat alle norme europee sugli appalti, passando per l’esclusione dell’Autorità di regolazione dei trasporti e di altri aspetti che nella procedura di riattivazione del progetto zoppicano.
Tre tornate di chiarimenti
L’adunanza del 29 ottobre, con le osservazioni depositate il 27 novembre, chiude un percorso segnato da tre tornate di chiarimenti, un carteggio serrato con Bruxelles e l’invio, da parte del Dipe e dei ministeri, di una documentazione che la Corte definisce, in più punti incompleta e priva dei necessari presupposti tecnici. Ma intanto il ministero delle Infrastrutture «prende atto delle motivazioni della Corte dei Conti» e fa sapere in una nota che “tecnici e giuristi sono già al lavoro per superare tutti i rilievi e dare finalmente all’Italia un Ponte unico al mondo per sicurezza, sostenibilità, modernità e utilità».
Palazzo Chigi: ampio margine di chiarimento sul Ponte
Palazzo Chigi dal canto suo fa sapere che le motivazioni «saranno oggetto di attento approfondimento da parte del Governo, in particolare delle amministrazioni coinvolte, che da subito sono state impegnate a verificare gli aspetti ancora dubbi». Secondo Palazzo Chigi si tratta «di profili con un ampio margine di chiarimento davanti alla stessa Corte, in un confronto che intende essere costruttivo e teso a garantire all’Italia un’infrastruttura strategica attesa da decenni».
La procedura Iropi
Ma torniamo alle osservazioni della Corte che chiariscono dove la procedura per il riavvio dell’opera si è inceppata. Il primo fronte di criticità riguarda la procedura Iropi, i «motivi imperativi di rilevante interesse pubblico» che hanno consentito di superare la valutazione negativa della Via-Vas. Per i giudici quella procedura è stata condotta senza il necessario supporto istruttorio. La Corte contesta che le «assunzioni relative ai diversi “motivi di interesse pubblico” non risultano validate da organi tecnici» e non sono sostenute da documentazione adeguata. Anche le ragioni di tutela della salute e della sicurezza pubblica, che avrebbero consentito di non chiedere il parere formale della Commissione europea, sono definite «prive di adeguate e circostanziate valutazioni».
Alternative mai esaminate
Le linee guida nazionali per la Vinca, la valutazione di incidenza ambientale, richiedono che, in caso di parere negativo, si proceda alla verifica dell’assenza di alternative in grado di ridurre gli impatti sui siti Natura 2000. Per la Corte questo passaggio non risulta eseguito. Il Collegio ricorda che la valutazione delle alternative è un prerequisito essenziale e che i criteri sostanziali imposti dalla direttiva Habitat «non risultano soddisfatti». La Commissione europea, per altro, nella nota del 15 settembre, chiedeva chiarimenti su impatti, alternative e misure compensative. La risposta del Mase, arrivata il 15 ottobre, riproduceva i pareri Via 2024 e 2025 «non aggiungendo alcuna ulteriore informazione».
