Dazi e climate change incombono come una mannaia sul pomodoro da industria, mentre dal World processing tomato council arrivano le prime proiezioni sulla campagna 2025, che per l’Italia stimano un aumento produttivo del 6% rispetto allo scorso anno, in controtendenza rispetto alla Cina (che perde quote, a favore di colture più remunerative) e alla California (la cui produzione dovrebbe scendere del 7,5%).

Intanto è stato chiuso l’accordo per la gestione dalla prossima campagna di trasformazione nel Bacino Centro Sud Italia. Le parti hanno definito un prezzo medio di riferimento pari a 147,50 euro a tonnellata per il pomodoro tondo, 155 euro/tonnellata per il lungo e una maggiorazione di 42,50 euro a tonnellata per il biologico. L’intesa introduce una serie di modifiche ai criteri di valutazione della materia prima, in particolare ai parametri relativi a “corpi estranei” e “pomodoro verde”, con l’introduzione di un nuovo sistema di griglie qualitative e di meccanismi premiali che consentiranno alla parte agricola una maggiore remunerazione rispetto alle condizioni della campagna scorsa, garantendo nel contempo alle aziende conserviere una maggiore qualità della materia prima da destinare alla trasformazione.

Ma in questo inizio campagna il faro è puntato Oltreoceano e sul mercato Usa, che con i suoi 430 milioni di euro di export (tra derivati e sughi pronti) rappresenta il primo sbocco extra Ue per l’industria della trasformazione, tant’è che nel 2018 il comparto fu esentato dai dazi. «Oggi, con le tariffe al 10% e i dazi doganali al 12%, arriviamo a toccare quota 22% – commenta Giovanni De Angelis – il che, per un prodotto vocato alla internazionalizzazione come il nostro, rappresenta una debacle». Il direttore generale Anicav apre poi la riflessione su due temi: il fatto di dover competere a condizioni ancora più impari con il rivale numero uno, la California, in casa sua, e le difficoltà di conquistare mercati alternativi come l’Asia, dove prodotti così caratterizzati (come il sugo di pomodoro) risultano di difficile penetrazione, per questioni che attengono alle tradizioni culturali e culinarie.

Costantino Vaia (Casalasco) fa notare come, nonostante il dazio doganale sui derivati del pomodoro, negli ultimi anni ci sia stata comunque «una continua crescita dell’export verso quel mercato». Secondo l’ad «questo nuovo aggravio penalizza sicuramente chi esporta , ma anche i consumatori americani, che avranno meno accessibilità a un prodotto di qualità». Anche Francesco Mutti – «primo marchio italiano di pomodoro negli Usa» – ne fa una questione di qualità, il principale driver nella scelta dei consumatori Usa. Tuttavia il ceo considera «i dazi su tutti i beni europei una scelta preoccupante, perché avviene senza una ratio chiara e in un contesto internazionale già estremamente instabile». Mutti parla poi di «provvedimento antistorico, che avrà un effetto destabilizzante sul mercato internazionale e conseguenze sociali per i partner commerciali».

Alessandro Squeri, dg Steriltom – società leader a livello Ue nella produzione di polpa di pomodoro per il settore Food Service e industriale – si dice molto preoccupato: «I dazi aggiuntivi di Trump potrebbero metterci in ginocchio: il rischio è che a pagarne il prezzo più alto siano i livelli occupazionali, con evidenti ricadute anche su quelli produttivi».

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