Si chiama Feeling l’ultima canzone di Tiziano Ferro e Elodie, che pescano dall’R’n’B e citano alcuni riferimenti. Ecco perché potreste non togliervelo dalla testa.

Elodie e Tiziano Ferro

Ogni giorno, un pessimista e nostalgico si alza, apre Spotify, clicca su una playlist algoritmica, e si lamenta: “Non ci sono più i generi musicali di una volta”. Se proprio vuole esagerare, potrebbe aggiungere: “I generi musicali stanno morendo”. Ed è vero: molta musica, oggi, prende in prestito stilemi da questa o quella scuola estetica, senza sposarne una definitivamente. Ma è così che nascono nuovi generi e si aprono nuove strade. Se, per esempio, sei tra le molte persone che piangono la scomparsa dell’R&B dall’orizzonte dei generi, devi sapere due cose: la prima è che forse ti sei perso per strada SZA (te la consiglio!); la seconda è che il tuo genere preferito, se lo intendi come lo intendo io, fu a sua volta il frutto di una rivoluzione dei gusti musicali. Ma per questo ci serve una macchina del tempo: la prendiamo in prestito da Elodie e Tiziano Ferro, che nel loro primo duetto insieme, Feeling, guardano indietro di 25 anni, a un’epoca d’oro del genere, quando fu segnato da una radicale trasformazione.

Elodie, Tiziano Ferro - Feeling

Le spie musicali ci sono tutte: da subito Feeling suona come un pezzo R&B di fine millennio. Ma se vuoi una prova ulteriore, ascolta bene il bridge. Nel songwriting che ormai potremmo definire “classico”, quello codificato al Brill Building di New York tra anni ‘50 e ‘60 da compositori come Burt Bacharach o Leiber e Stoller, il bridge ha una funzione centrale: ci dà la scusa per ripetere due volte di fila il ritornello prima della fine. In Feeling, che peraltro ha un roster di grandi professionisti (come gli autori Federica Abbate e Jacopo Ettorre e il produttore Golden Years), il bridge svolge esattamente questa funzione. E, come nei migliori esempi di bridge, approfitta di questo compito per mettere in fila quello che conta veramente, il succo della questione: non la vaga e generica relazione sentimentale e sessuale evocata da strofe e ritornello – per quello una canzone vale l’altra; ma che la vera intesa tra i due protagonisti si svolge su un livello più alto, quello dei gusti musicali. E come potremmo biasimarli?

Quindi, cosa dice il bridge? Quello che nella lirica greca e romana ellenistica sarebbe stato considerato un sigillo (o “sphragìs”) e che oggi chiamiamo interpolazione, prendendo in prestito un’altra parola dalla filologia. La più ovvia interpolazione (testuale e melodica) nel  bridge di Feeling avviene quando Ferro cita parte del ritornello Try Again di Aaliyah, capolavoro R&B del 2000 prodotto proprio da Timbaland e massimo successo commerciale della giovane stella di Brooklyn prima della sua morte tragica nel 2001 causata da un incidente aereo. “You can dust it off and try again”, nell’originale, era un invito all’ostinazione e alla caparbietà (oggi diremmo “resilienza”, parola poco anni ‘90): se non hai successo, riprova; se cadi per terra, scuotiti di dosso la polvere e ricomincia da capo.

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Elodie e Tiziano Ferro, i rifiuti agli esordi come traccia comune

Non possiamo sapere quanto si identifichino oggi con questo sentimento due artisti di successo conclamato come Tiziano Ferro ed Elodie; ma sappiamo che in entrambi i casi gli esordi non sono stati tra i più fortunati e felici, che entrambi gli artisti hanno ricevuto una discreta dose di rifiuti all’inizio, prima dei riflettori e dei mega-contratti. Purtroppo il pop italiano ha l’abitudine a dare per scontato questo “struggle”, di considerare le stelle prima delle stalle come un antefatto non sempre degno di rievocazione esplicita. L’R&B degli anni ‘90, invece, amava sottolinearlo: forse perché, per tornare al punto di partenza, si era ormai compenetrato in maniera quasi totale con l’hip-hop e ne aveva acquistato il pacchetto di valori.

Un paio di versi prima di questa citazione, Tiziano evoca per nome Aaliyah ma anche Erykah (Badu) e Missy (Elliott): la seconda, icona assoluta del rap di fine millennio, è un’altra artista che ha contribuito con Timbaland a spostare verso l’elettronica l’hip-hop (non che non ci fosse già andato in precedenza), contribuendo a rendere di moda anche nell’R&B un tipo di beat ritmicamente esplosivi e stilisticamente ibridi, con synth e strumenti acustici, beatbox e drum machine, sample e cassa, combinati per saturare di stimoli l’orecchio.

Le citazioni in “Feeling”, memorie di R&B

Quando, fin dalla prima traccia del suo primo disco, Le cose che non dici, Tiziano Ferro e il suo produttore e sodale Michele Canova Iorfida si dichiarano implicitamente discepoli di Timbaland, stanno contribuendo dall’Italia all’ibridazione dell’R&B: quello non era più il genere di Fats Domino e Little Richard, un’etichetta di comodo creata in un’America ancora segregata; semmai, era diventato lo stile di una generazione (X) di giovani artisti afroamericani cresciuti forse con i dischi soul e i cori gospel, ma anche con il rap che usciva dai boombox (per gli amici “ghetto blasta”), con la dance elettronica nei club. Quell’epoca d’oro, insomma, era nata proprio da una contaminazione e confusione di generi, che produttori come Timbaland avevano saputo condensare in uno stile moderno e futuristico.

Ma la produzione di Golden Years sembra rifarsi a Timbaland solo a tratti. Da una parte, è forte l’impressione di ritrovare nel beat di Feeling l’andamento sussultante della citata Try Again. Ma qui (come peraltro in buona parte di Rosso relativo, nel lontano 2001, ad esempio nel brano Di più) si sente anche un altro punto d’appoggio nel passato dell’R&B: l’arpeggio di chitarra. E allora, bisogna citare un altro nome. Non necessariamente il terzo evocato nella trinità del bridge: Erykah Badu, allusa peraltro nel verso “And I move on ‘n on ‘n on” (da On & On del 1997), non si sente più di tanto in Feeling. Certo, lei ha contribuito a rendere popolari le scansioni metriche del rap dentro le melodie, e le sue produzioni rimandano al gusto jazz di fenomeni hip-hop come A Tribe Called Quest (altre contaminazioni di un R&B che stava trovando espressività nell’ibridazione, anziché perderla).

Ma Feeling, con i suoi arpeggi insistiti, ricorda semmai le scritture-produzioni del duo formato da Kandi Burruss e Kevin Briggs, una coppia artistica che solo nel 1999 ci ha dato No Scrubs delle TLC, Bills, Bills, Bills delle Destiny’s Child e X-Girlfriend di Mariah Carey (peraltro registrato a Capri). Tutti e tre i brani (ma forse per la band di Beyoncé sarebbe meglio citare So Good) presentano un beat costruito su arpeggi chiari e circolari, sequenze di note che pizzicate sulle corde (o più probabilmente diteggiate su una tastiera con un simulatore di chitarra) ci danno la forma armonica di un accordo aggiungendovi anche un elemento ritmico. La scrittura melodica di Burruss, peraltro, adottava lo stesso principio: Beyoncé, come ricordò in un’intervista l’autrice-compositrice, l’avrebbe voluto chiamare “mapping”, cioè rapping melodico. In una fase storica nella quale molte teste musicali stavano convergendo verso quella soluzione, forse solo Burruss e Briggs riuscirono a far coesistere accompagnamento e topline in un concentrato di stimoli ritmici: tutta la prima produzione di Tiziano Ferro segue questo criterio, e se oggi non stona nemmeno in Italia che lui o Elodie possano essere associati artisticamente all’hip-hop anche senza essere tecnicamente degli MC, lo dobbiamo a questo genere di innovazioni e riformulazioni. Di 25 anni fa.

Quindi, se senti la mancanza dell’età dell’oro dell’R&B, auguri: anch’io sto per diventare quarantenne! Ma non credere che il genere sia sparito per sempre, solo perché non lo senti più tanto in giro. Come la rievocazione nostalgica di Tiziano ed Elodie ci ricorda, siamo già passati da un’epoca di confusione e di grande innovazione. Forse non sta specificatamente in questa nuova produzione italiana: i tempi sono cambiati, e oggi non è più di moda parlare delle ansie economiche come nei testi di Kandi Burruss, e l’indipendenza delle donne cantata da Mariah, Beyoncé e Aaliyah, da Missy, Erykah e Left-Eye è data per assodata (sarebbe bello se fosse così non solo nelle canzoni). Ma, finché ci ricorderemo come si faceva una volta, potremo sempre sperare di rifarlo di nuovo, con nuovi termini, per i nuovi generi che ancora non hanno un nome.

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