Lady Gaga è tornata con la nuova canzone Abracadabra, dopo il successo di Die with a Smile con Bruno Mars: ecco perché questa canzone piace così tanto.

Lady Gaga

Non è vero che nella musica pop non esistono seconde occasioni. A volte arriva anche una terza occasione. Basta essere una megastar globale, tipo Lady Gaga, che con il suo nuovo singolo Abracadabra sta realizzando un comeback tanto clamoroso, quanto pleonastico. Dal quale, però, possiamo intuire qualcosa: che una popstar vicina ai 40 anni può tornare a trionfare, smentendo l’idea che sia il pubblico a non desiderare popstar mature; purché, al momento giusto e nel modo corretta, sia disposta a portare indietro le lancette della sua musica e dare al pubblico esattamente ciò che si aspetta. Ecco come Abracadabra è avviata a diventare una delle cinque canzoni più importanti del repertorio di un’artista alla quale non mancano certo le hit.

Un comeback (l’abbiamo visto per Jovanotti) è una modalità di racconto molto importante nella narrazione di un artista pop, e – come abbiamo detto – solo raramente si tratta di un autentico ritorno sulle scene: è la distrazione costante offerta dal flusso disumano di content che ci fa dimenticare certe cose. Ad esempio, che Gaga il suo comeback stilistico l’aveva già fatto: mi riferisco al recupero di un’identità sonora ed estetica decisamente più simile alla Mother Monster di inizio carriera anziché alla ragazza acqua e sapone di Joanne. È successo cinque anni fa, quando la maggior parte di noi era molto distratta da altre faccende – senza nulla togliere al pop – decisamente più urgenti. Chromatica, l’album pubblicato nel maggio 2020, cioè nel bel mezzo della pandemia da COVID e con mezzo mondo chiuso in casa, era a suo modo un ritorno alle origini per Germanotta: un immaginario radicale, estremo, accompagnato da musica dance elettronica. Ma qualcosa mancava: prima di tutto, la possibilità (e forse l’acume) di promuovere appieno il disco; e quel non-so-che tipicamete gaga, che nell’estetica (cyberpunk) e nel suono (house) sembrava rifarsi a trend (rispettivamente hyperpop e dance-pop) già in uso da altri artisti. Insomma, Chromatica per molti versi metteva Lady Gaga a confronto con le nuove leve del pop elettronico, calcando in modo insufficiente la mano sugli elementi più autenticamente gaghiani.

Lady Gaga - Abracadabra (Official Music Video)

Prima di continuare e di vedere il punto di leva che da Chromatica porta ad Abracadabra, una doverosa nota giornalistica: il disco del 2020 di Lady Gaga è stato un successo enorme comunque lo si veda. Forse non in Italia, dove la musica internazionale ormai non è più di casa; ma negli Stati Uniti il disco si è piazzato per quattro anni di fila nella top 20 di fine anno Billboard dei dischi dance più ascoltati/acquistati (#1 nel 2020, #3 nel 2021, #6 nel 2022, #19 nel 2023), una longevità che solo una visione predatoria, avida e miope del mercato musicale può considerare fallimentare; senza contare che il singolo Rain On Me con Ariana Grande è tuttora una delle 10 canzoni più ascoltate dell’intera carriera dell’artista. L’impressione che Chromatica sia stato un passo riuscito a metà, insomma, può scaturire solo dalle frange più immature dei fandom, pronti a rinfacciare agli artisti altrui qualsiasi passo falso – è lo stesso fenomeno culturale contro il quale si è pubblicamente espresso Finneas dopo i Grammy 2025, dai quali lui e sua sorella Billie Eilish sono usciti a mani vuote, raccomandando a tutti i fan di Billie di non commentare in modo acre e infantile sui profili degli artisti vincitori.

Testo, traduzione e significato di Abracadabra, Lady Gaga ordina di ballare o morire nell’ultima canzone

Il punto è che la Gaga del 2020 aveva molta più concorrenza rispetto alla Gaga del 2010 nel settore che lei stessa aveva contribuito a solcare, delimitare e definire, ovvero quel pop direttamente disceso dalla club culture e dalla ballroom culture, nel suono e nell’immaginario, deliberatamente “queer” nelle istanze, completamente privo di qualsiasi deferenza verso la canzone “seria” (la ballad, s’intende), comunicativamente radicale e spesso umoristico, e prodotto con l’idea di devastare gli impianti stereo: se si pensa all’ascesa di una Dua Lipa o alla dedizione a questo tipo di musica da parte di star affermate come la Beyoncé di Renaissance, il mercato era già saturo di quest’offerta. Non si era ancora riaperto, però, lo spazio per qualcosa di puramente Gaga.

Abracadabra “funziona” perché non perde un secondo del suo tempo per ricordarci che è una canzone di Lady Gaga. Dopo 15 anni di carriera, l’ultima metà della quale trascorsa sperimentando altre forme di canzone (il songbook jazz, il pop rock “americana”) e dedicandosi con successo alla recitazione, chiunque sarebbe comunque in grado di definire un’identità musicale Lady Gaga: video con coreografie di gruppo dentro teatri di posa; suggestioni di alta moda dal gusto estremo, spesso blasfemo e provocatorio; rimandi alla ballroom culture, alle sue parole e alle sue abitudini; produzioni dal suono estremamente compresso che arrivano all’orecchio come muraglie strumentali impenetrabili; hook lirico-melodici semplicissimi che anche un bambino imparerebbe; una predilezione per le armonie in minore. Abracadabra ha tutto questo, e – come abbiamo ricordato tante volte in questa rubrica – la familiarità all’orecchio può avere un impatto considerevole nel successo di una traccia.

Oltre all’orecchio, c’è l’occhio. Il video di Abracadabra sembra condividere alcuni rimandi espliciti con la videografia più celebre di Lady Gaga: rivediamo il corpo di ballo disposto a piramide dietro la star, con una costruzione dell’inquadratura perfettamente simmetrica (come in Bad Romance, per citare il caso più celebre); rivediamo l’immaginario sacro, il crowdsurfing e perfino certi elementi coreografici (in ginocchio, o nella parte in cui il corpo della cantante viene trasportato dalla folla di ballerini) che ricordano soprattutto Alejandro, forse l’esempio più vicino al nuovo singolo per estetica. Il rimando diretto a quel video – esplicitato dalla stessa Germanotta in un’intervista a Elle – non è solo nelle inquadrature (Gaga di spalle che arringa una folla in basso), ma addirittura nei costumi, alcuni dei quali sono stati rielaborati proprio da pezzi d’archivio di quella produzione del 2009. C’è un messaggio preciso, peraltro, in questo rimando: l’appoggio senza mezzi termini della popstar alla comunità LGBTQ+. Ai tempi di Alejandro si facevano i conti con politiche come “Don’t Ask, Don’t Tell” nell’esercito o la disparità di diritti civili; ora, con la nuova amministrazione Trump, la comunità deve resistere all’intenzione del governo di ristabilire molte disuguaglianze, e in particolare una discriminazione esplicita contro le persone transgender – a favore delle quali Gaga si è espressa ritirando il suo Grammy qualche giorno fa.

A questo proposito, perché qualche giorno fa Lady Gaga ha ritirato un premio? Perché la canzone Die With A Smile con Bruno Mars ha vinto come migliore duetto pop. Questo brano, saldamente seduto al numero 1 di molte chart, ha permesso di recente a Gaga di diventare la terza artista di sempre (dopo Michael e Janet Jackson) ad avere almeno una canzone al numero 1 dell’americana Billboard Hot 100 in tre decenni diversi. In questo senso, il comeback di Lady Gaga era già ampiamente avviato. Poterlo realizzare con un brano solista, però, sarebbe una soddisfazione ulteriore. E in effetti Abracadabra ha intrapreso una traiettoria verticale: ha superato i 20 milioni di stream su Spotify in meno tempo rispetto al duetto con Bruno Mars, e ha spinto in alto tutto il resto del catalogo come capita solo ai successi più grandi, con canzoni come Venus che hanno addirittura aumentato del 528% le sue riproduzioni giornaliere.

Non si deve pensare, quindi, che Abracadabra sia soltanto una “minestra riscaldata” (quelle, in genere, non piacciono a nessuno). Semmai, è segnalata l’intenzione di riaprire un discorso lasciato in sospeso. Per esempio, alcuni dei capi indossati dall’artista (il copricapo appuntito di Maximilian Gedra; la tunica di latex rossa disegnata da Renee Masomian) segnalano che il suo interesse per la moda avanguardistica, massimalista, radicale e decisamente molto teatrale non è svanito tra una residency a Las Vegas e un press-junket ordinario. Lady Gaga, cioè, ha ancora voglia di divertirsi e sfoggiare le sue specialità con nuovi esperimenti. Magari, rispolverando idee (anche compositive e musicali) che non avevano ricevuto il plauso meritato.

Abracadabra, infatti, è la sorella fortunata di una canzone che non ricevette tutto l’amore che meritava: Alice dall’ultimo progetto, il citato Chromatica. Quella che, forse, era in assoluto la canzone più interessante di quel progetto non fu promossa a sufficienza, ma della sua qualità era ben consapevole la stessa artista, che nel suo tour The Chromatica Ball la pose all’inizio del primo atto del set, subito dopo il prologo composto unicamente da hit celeberrime, dopo il primo spettacolare cambio di scena. Con quel brano Abracadabra condivide la progressione principale di accordi nonché l’utilizzo di un hook vocale al limite dell’ad lib, cioè con una successione di sillabe che sembrerebbero sconnesse tra loro: “Oh ma-ma-ma, oh ma-ma-ma” in Alice, Abracadabra, amor-oo-na-na” in questo caso. Peraltro, qui torna anche una vecchia tradizione dell’artista, ovvero la citazione autoreferenziale del suo nome nel refrain: “Abracadabra, morta-oo-ga-ga” è l’erede di “Judas, Juda-ah-ah / Judas, Gaga” e di “Ra, ra, ah-ah-ah / Roma, roma-ma / Gaga, ooh, la, la”. Cercare un senso profondo in queste parole sarebbe ridicolo: il nome d’arte di Germanotta è esso stesso un “ad-lib”, un’espressione di entusiasmo pre-verbale (“going gaga” è un modo di dire “entusiasmarsi”) presa in prestito dai Queen per una loro celebre canzone e passata in eredità alla più grande popstar del 21esimo secolo. Inserirsi dentro un refrain è, però, anche una mossa dal forte valore subliminale: come se la popstar fosse l’unica chiave per accedere al divertimento che la canzone può offrire.

Rispetto ad Alice, però, Abracadabra abbandona la veste house un po’ sdrucita, e riaccende la compressione side-chain che aveva fatto di Gaga una delle più fortunate espressioni pop commerciali dell’electroclash: quel movimento che a cavallo tra i due millenni aveva provato a scuotere il torpore serioso della techno e iniettare nuovo glamour e spasso nel synth-pop, è responsabile diretto della nuova club culture emersa negli anni Zero, e di cui l’artista newyorkese è stata discepola ed evangelista. Lo spirito di quelle serate, teatrale e libero, radicale e divertente, rivive nei suoi primi singoli anche grazie al mirato uso del suono: un muro assordante e denso di tastiere fischianti e bassi bombastici che fanno a gara a chi è più “over the top” con la voce da soprano impazzito dell’artista stessa. Una gara al rialzo senza fine.

Il nuovo singolo recupera questo approccio, grazie al lavoro del produttore Cirkut. Questo nome potrebbe risultare familiare a chi avrà spulciato tra i crediti di 360, il singolo che più di tutti ha spinto l’album brat di Charli XCX. Quel disco, e il cosiddetto fenomeno della “brat summer” aveva riportato al centro della conversazione lo spirito dei party di inizio millennio: al crocevia tra il presunto movimento indie sleaze (che vorrebbe definire musicalmente ed esteticamente lo spirito di avere 20 anni nel 2003), la fine del ciclo del pop intimista e “da cameretta”, e il recupero di alcuni artifici sonori con l’emersione commerciale della musica hyperpop, stava il rinnovato interesse di quel disco in un’espressione che fosse sì “popolare”, ma anche estrema e accelerata. Tutte cose su cui Gaga, che quell’epoca l’ha vissuta in prima persona, avrebbe qualcosa da dire. Abracadabra, quindi, funziona anche perché segue la naturale evoluzione di una musica che nel 2025 tenderà all’estremo, al radicale, al flamboyant come non capitava da anni – il nome del disco, Mayhem, cioè “strage” dovrebbe lasciar intendere che Germanotta ha messo in cassetto le sottigliezze.

Non potrei chiudere quest’analisi senza menzionare almeno un po’ di armonia: come dicevo svariati paragrafi fa, Abracadabra condivide con Alice il nucleo della progressione armonica. Questo perché entrambe le canzoni fanno uso di una tonalità minore molto particolare, e di cui parlammo già un anno fa a proposito di una canzone di Ariana Grande. Mi riferisco al cosiddetto modo dorico, una scala che si distingue dalla minore perché – detto in modo molto banale – richiede l’uso di un sesto grado maggiore. Questo genera un senso di profonda ambiguità, al limite del mistico ed enigmatico, che possiamo avvertire anche ascoltando questo singolo: è minaccioso, ma anche entusiasmante; ha un gusto amaro, ma anche una promessa di luce.

Questo modo è stato usato negli anni in canzoni dal mood completamente disparato, da What Goes Around Comes Around di Justin Timberlake ad Uptown Funk. Ma raramente il vocalist di turno appoggia la sua melodia sulla nota che dà effettivamente corpo alla scala dorica, lasciando all’accompagnamento strumentale il peso di questa ambivalenza. C’è un esempio illustre di melodia che, invece, atterra con forza su quel tono, ed è una melodia che infatti può venire in mente a qualcuno, dopo un paio di ascolti ripetuti di Abracadabra: mi riferisco a Mad World dei Tears For Fears, che allo stesso modo calcano sul senso di anticipazione e ambiguità di quella nota e di questa tonalità nel pre-ritornello del brano. (Curiosamente, invece, tra gli autori del brano è accreditata un’altra icona inglese, Siouxsie Sioux, per una melodia simile ma non altrettanto “dorica” usata nel ritornello di Spellbound).

Lady Gaga, a differenza di altri colleghi, non ha bisogno di girare intorno alle solite note per far funzionare una melodia: subito prima del refrain ci lascia assaporare l’apertura ma anche la stranezza di quella nota, calando decisa sul sesto grado maggiore, come puoi sentire nella nota ribattuta su “time to cast your spell on the night”. Al netto di tutto il resto, dei costumi e degli approcci produttivi, della promozione e delle mode, Lady Gaga è questa libertà di cantare note non del tutto appropriate, esprimere gioia e potenza nelle zone d’ombra tra l’angoscia e il tripudio. Abracadabra ha tutto questo. Che tu ne sia attratto per nostalgia, perché ti ricorda il 2009; o che ti intrighi per la sua novelty, perché offre qualcosa di non propriamente comune nell’offerta pop di oggi, il risultato non cambia nulla: siamo tutti ugualmente stregati dall’incantesimo.

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