Nessun taglio. Anche a marzo la Federal reserve dovrebbe lasciare i tassi invariati al 4,25-4,50%, come a fine gennaio. Il presidente Jerome Powell e alcuni governatori hanno spiegato di non aver fretta, e le proiezioni macroeconomiche di dicembre segnalano un punto di arrivo, a fine anno, a 3,75-4%, pari a due tagli da 25 punti base. Non mancano analisti che si aspettano, per le nuove stime di marzo, un rialzo di queste indicazioni al 4-4,25%, pari quindi a un solo taglio da qui a dicembre.

Il peso dell’incertezza

Pesa l’incertezza sugli annunci del presidente Donald Trump e, dunque, sugli effetti delle misure che saranno prese. Non è chiaro, in particolare, fino a che punto le minacce di far salire di dazi siano uno strumento negoziale tipiche dell’approccio decisamente “transazionale” della nuova Amministrazione e in che misura faranno invece parte del nuovo paradigma di politica industriale americano. Analogamente le promesse di tagliare le spese federali potrebbero incidere su crescita e inflazione, anche se non hanno lasciato ancora traccia nei dati, a parte l’inquietante nowcasting della Fed di Atlanta che indica un pil del primo trimestre in calo del 2,4% annualizzato.

Tassi elevati?

Il dilemma della Federal reserve è forse proprio qui. I dati a disposizione oggi mostrano molto poco della direzione in cui potrebbe andare l’economia Usa in seguito alle decisioni di Trump, e quel poco potrebbe essere fuorviante. Al momento, tutto lascerebbe pensare che i tassi sono a un livello piuttosto elevato. Calcolando, tradizionalmente, un tasso reale neutrale dello 0,50% – difficilmente è più basso – e l’obiettivo del 2%, Fed Funds oltre il 4% danno l’idea di un orientamento decisamente restrittivo, forse non del tutto giustificato dai dati.

Aspettative di inflazione in calo

ASPETTATIVE DI INFLAZIONE DI MERCATO

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Dati in percentuale

Le misure di mercato delle aspettative di inflazione, per esempio, mostrano di nuovo un ritorno verso l’obiettivo del 2%, anche se non è chiaro quanto abbia inciso il complessivo calo dei rendimenti, determinato dalle cattive prospettive dell’azionario, a causa dei dazi, e dalle attese di minori spese federali. È vero che le misure delle aspettative misurate dai sondaggi, come l’indice della Michigan University, vanno però in una direzione diversa, e hanno superato di slancio il 3% a gennaio (al 3,3%, il massimo da maggio); ma le ampie analisi svolte dalla Fed di Cleveland e della Fed di Atlanta sulla dinamica dei prezzi – compreso il nowcasting – mostrano per la prima volta timidi segnali di miglioramento.

Scendono i rendimenti

LA CURVA DEI RENDIMENTI DAL 2024

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Dati in percentuale

I rendimenti, una delle componenti delle condizioni finanziarie – almeno “a monte” della cinghia di trasmissione delle decisioni della Fed – stanno calando rapidamente, ma la parte a breve della curva, che esprime e realizza la politica monetaria, è rimasta sostanzialmente invariata; mentre il cambio effettivo del dollaro, resta relativamente elevato, molto lontano dalla media di lungo periodo.

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