Oggi siamo chiusi in un loop culturale per cui ci pare più facile parlare di plagio quando una canzone ha le stesse “vibe” di un’altra, cioè quando ne ricorda lo stile, l’energia, lo spirito profondo. È il caso di “Islanda” dei Pinguini Tattici Nucleari e “Destri” di Gazzelle: ma le cose non stanno proprio così.
C’era una volta la caccia al plagio durante la settimana del Festival di Sanremo. Un po’ per gioco, un po’ per creare scandalo, approfittando anche della presenza di molta stampa non specializzata convenuta in riviera e a caccia di notizie “succose”, questa caccia si dispiegava in pieno nei giorni clou della kermesse, agitando scandali e gogne che spesso sono rimaste appese al collo degli artisti, e che puntualmente bisogna smentire.
Ma la democratizzazione dei mezzi d’informazione e forse anche la sensazione diffusa di vivere dentro un loop culturale che non offre nulla di veramente nuovo, ha creato un altro tipo di intrattenimento: la caccia al plagio continua. Oggi, chiunque può attirare attenzioni al proprio “content” suggerendo che una tale canzone appena uscita sia in realtà poco originale, o proprio il frutto (casuale o meno) di un’appropriazione di qualcosa di precedente. Questo fenomeno non è solo italiano: anzi, all’estero ha anche sostenuto la crescita di profili social molto seguiti, come quello di Jarred Jermaine (@itsjmaine con 3 milioni di follower su Instagram e @jarredjermaine con 6 milioni su TikTok) o di Martin Beauregard (@garthbeauregard con 207mila follower su Instagram e 314mila su TikTok). Questi sono solo due tra i molti music influencer che, sulla carta, si limitano a indicare somiglianze, non offrendo però alcun contesto né spiegazione: è una citazione voluta, o è un furto truffaldino? Non lo possiamo sapere, ma intanto possiamo indignarci.
Non sazi, quindi, dei “casi” sanremesi (ne abbiamo avuto uno anche quest’anno, e lo abbiamo ridimensionato già allora), i content creator italiani sono saliti sul proverbiale carro e, se capita, si baloccano in quest’attività che genera molto engagement. Ma cosa succede quando, forse solo per scherzo, anche uno degli artisti coinvolti partecipa alla caccia? Sarebbe successo nei giorni scorsi quando, nelle sue Stories di Instagram, sopra la colonna sonora di Geordie interpretata da De André (la canzone sulla punizione di un furto, se così vogliamo descriverla), il cantautore romano è stato mostrato tra gli scaffali di una libreria, che prendeva in mano una guida turistica dell’Islanda, per poi rimetterla al proprio posto. Il riferimento sarebbe al brano Islanda appena pubblicato dai Pinguini Tattici Nucleari, come estratto in previsione dell’uscita del prossimo album, Hello World. Su TikTok, infatti, account come @aceromusic hanno sottolineato le somiglianze tra questo singolo e Destri di Gazzelle, offrendo apparentemente una cornucopia di prove a sostegno della sua tesi: cioè, che le due canzoni si assomigliano terribilmente. Anzi, che (testuali parole) “l’ultima canzone dei Pinguini è un plagio di Gazzelle”. Vediamo, allora, queste prove. E proviamo a contestualizzarle.
Perché si discute della somiglianza tra Islanda dei Pinguini Tattici Nucleari e Destri di Gazzelle
Intanto per cominciare, i due brani hanno una tonalità molto simile, separata solo da un semitono (Islanda è in La, Destri in La bemolle): una differenza talmente insignificante che non vale la pena nemmeno contarla, anzi, d’ora in poi citerò solo gli accordi nella tonalità del brano scritto da Zanotti. Gli accordi si muovono in effetti secondo un pattern armonico e ritmico molto simile: lo user che avrebbe notato per primo il “plagio” parla in particolare del fatto che entrambi i “giri” si chiudano con la stessa cadenza. La cadenza è la sequenza di accordi che accompagna la chiusura di una frase melodica, “cadendo” metaforicamente nell’accordo di tonica che ristabilizza la tensione del brano: questa cadenza è Do minore, Re maggiore, La maggiore. Ora, questa sequenza di accordi (che si può scrivere “iii-IV-I” con la numerazione romana dei gradi della tonalità) non solo non è rara, ma è disseminata in moltissima musica della tradizione occidentale: utilizzata come giro a sé stante, sorregge la strofa di classici del rock americano come la strofa di The Weight dei The Band, o di un classico pop del nuovo millennio come il ritornello di Since U Been Gone di Kelly Clarkson. Ma il ritmo armonico (la scansione metrica con cui si succedono gli accordi) ha una forte somiglianza, quindi accogliamo pure questa prova, per quanto canzoni con gli stessi accordi, anche perfettamente sovrapponibili, ne esistono da sempre e c’è chi ci ha costruito una carriera ironizzandoci sopra – come dicevamo qualche tempo fa alludendo agli Axis of Awesome.
Parliamo allora di un elemento che, anche a livello legale, ha una maggiore rilevanza: la melodia, l’unico criterio tradizionalmente accolto nelle cause per plagio. Qui, purtroppo, la tesi cade già: la melodia di Gazzelle, infatti, ha un preciso e stretto tragitto che parte dal terzo grado della scala e finisce sulla tonica nella strofa, e che nel ritornello parte dal quarto grado compiendo una caratteristica discesa dal quinto con una successione di note staccate (la parte in cui canta “se tutta questa luce, luce, luce”): nel suo brano il cantautore romano, insomma, sfrutta al meglio la sua capacità di tirare fuori il massimo da linee melodiche essenziali, quasi ridotte all’osso, che anche per questo sono facili da cantare in coro. La melodia di Islanda, invece, nella strofa parte dalla tonica (il grado 1) all’ottava superiore e – come in molte melodie di Zanotti – sale e scende fino ad atterrare sul terzo grado della scala, usando salti larghi come quello tra la sillaba “-ra-” e “-ti” della frase “ci siamo separati”: questo intervallo di otto semitoni, noto come sesta minore, si ritrova in melodie come quella del brano Where Do I Begin? di Andy Williams, dalla colonna sonora del film del 1970 Love Story, o all’inizio dell’introduzione di The Entertainer di Scott Joplin (la musica del film La stangata, per intendersi). Questo largo intervallo torna all’inizio del pre-ritornello, ma in direzione opposta, tra le prime due sillabe del verbo “volevo (il Nord)”, iniziando un tragitto che in questo caso si arresta sulla tonica. In questo modo, Zanotti crea una tensione nella strofa, un senso di irresolutezza che accresce l’attesa di un secondo verso, mentre il pre-ritornello prelude all’esplosione del ritornello con un silenzio, che è lo stesso figurato nell’immagine del telefono da cui non arriva la voce dell’altra persona. Come già osservato analizzando altre canzoni dei Pinguini Tattici Nucleari, Zanotti è esperto nell’utilizzare una scrittura pop moderna, disseminando le sue melodie di segmenti memorabili che, con grande senso di economia compositiva, verranno riproposti; e viceversa, ha una conoscenza del rock britannico alla Queen o Coldplay, dove le sezioni del brano svolgono funzioni diverse e cercano effetti diversi. Al confronto, la scrittura melodica di Destri ricorda più il buon vecchio rock, dove – fatte salve alcune minime variazioni – le topline possono essere riutilizzate e ripetute: anche questo è un espediente mnemonico, a suo modo, che richiede una grande capacità interpretativa perché la canzone non risulti semplicemente monotona.
L’unica vera somiglianza tra le due melodie sta nell’attacco del ritornello: “ma tu (ci pensi mai)” di Islanda e il gazzelliano “e non è colpa (mia)” usano le stesse due note, il quarto e terzo grado della scala. Ma le somiglianze finiscono qui, perché – di nuovo – i due differenti stili di scrittura emergono nello spazio ristretto utilizzato dal cantautore romano e quello più largo occupato dal bergamasco. Al di là delle differenze oggettive nella qualità delle due melodie c’è però da considerare che un inciso non è composto solo dall’entità assoluta del tono: esiste anche il ritmo. Dove cade una nota? Quando parte la frase? E qui si notano le differenze maggiori, che riguardano non solo il ritornello, ma proprio lo spirito delle due tracce: Destri è una canzone rock fatta e finita, con gli incisi che partono a giro iniziato; Islanda, invece, fa uso delle cosiddette anacrusi, note che precedono l’inizio di una battuta e così, di fatto, anticipano di qualche attimo l’attacco del giro armonico. Questa eccedenza non va considerata come uno scarto che il compositore non sapeva dove infilare, un’incapacità di far iniziare la melodia sull’uno del beat: anzi, questa parte in levare (perché di norma si inserisce nell’ultimo quarto della battuta, considerato un tempo debole) carica l’energia cinetica dell’inciso, che è come se desse il via al ritmo. Un esempio classicissimo è l’attacco del Rondò alla Turca di Mozart (le prime quattro note), mentre si può discutere se addirittura l’intero “riff” di contrabbasso di So What di Miles Davis non sia da considerare un’anacrusi. In ogni caso, le differenze sono forse piccole ma decisive, tutt’altro che piccole differenze, e sicuramente non sufficienti per parlare di plagio.
C’è un ultimo punto sollevato dai teorici del plagio: le canzoni hanno strumentali molto simili. Per contraddire quest’argomentazione le orecchie non bastano: si dovrebbe avere accesso ai progetti (i software che contengono le parti del brano) per poter studiare con cura tutti gli input. Quindi, ci possiamo fidare delle orecchie, aggiungendo quello che abbiamo detto per la melodia e il ritmo a un’ulteriore contestualizzazione dei due brani. Destri, infatti, è una canzone che esplicitamente cita la sua ascendenza rock: nel video Gazzelle indossa degli occhiali bianchi “da donna” del tutto simili a quelli indossati in molte occasioni da Kurt Cobain, compresi gli MTV Video Music Awards di Los Angeles del 1993 e un iconico servizio fotografico scattato da Jesse Frohman. La “reference”, per così dire, vuole rimandare a una precisa epoca del rock, dove gli spazi dinamici tra strofa e ritornello, perfino esagerati, venivano utilizzati a vantaggio di canzoni stilisticamente lontane dal gusto mainstream, come “gancio” (sempre il solito “hook” di cui abbiamo parlato tante volte) per scaturire una reazione immediata nell’ascoltatore. Si tratta del famigerato “quiet-loud” che il compianto produttore Steve Albini rifuggiva come la peste, un artefatto estetico del rock anni ‘90 immortalato soprattutto dalle incisioni dei Pixies, di cui peraltro il Cobain di Nevermind era un consapevole imitatore. L’arrangiamento di Destri si avvicina a questo ideale di brano: può ricordare Where Is My Mind?, così come Creep dei Radiohead o Swallowed dei Bush, che in modo più o meno esplicito sfruttavano quella dinamica e quel contrasto di volumi e tessiture – senza che nessuno parlasse di plagio. E non solo per l’esplosione di volume: nella canzone di Gazzelle la chitarra acustica spadroneggia, con il suo “strumming” che dona armonia e ritmo alla strofa, finché d’un tratto il tono diventa quello metallico dell’elettrica (probabilmente abbassata di un’ottava, ma comunque di grande corpo). Un tappeto, forse dato da un organo elettrico, si inserisce e sostiene il pre-ritornello, ma è solo ospite.
Certo, oggi che siamo chiusi in quel loop culturale di cui sopra, ci pare più facile parlare di plagio quando una canzone ha le stesse “vibe” di un’altra, cioè quando ne ricorda lo stile, l’energia, lo spirito profondo: è questo il milieu che ha prodotto la vittoria in tribunale degli eredi di Marvin Gaye contro Robin Thicke, per due canzoni che avevano per il resto melodie molto diverse. “Ricordare”, oggi, è diventato un sinonimo di “copiare”. Ma, a ben vedere, a parte il crescendo improvviso (che peraltro i PTN hanno impiegato in diversi brani), Islanda ha a mio avviso altri modelli: sarà forse il contesto geografico, ma ci sento più il sound intimo ed enfatico degli islandesi Of Monsters And Men, magari di brani come Dirty Paws, piuttosto che quello rabbioso del grunge americano e post-grunge inglese. Zanotti (con i produttori Marco Paganelli e Giorgio Pesenti) affidano la prima strofa a una tastiera a cui poi si aggiunge l’acustica come elemento ritmico-armonico; ma soprattutto, nella parte finale del ritornello inseriscono quello che sembra un fraseggio di violini che dà al tutto un aspetto più folk-rock, e quindi un mood più nostalgico-disperato rispetto al carattere furioso-disincantato di Gazzelle. Certo, sono due canzoni che parlano di relazioni finite: ma esistono veramente canzoni che parlano d’altro nel pop-rock contemporaneo di massimo appeal? Difficile dirlo, tra le decine di migliaia di canzoni tristi che si riversano fuori dai nostri account Spotify ogni settimana. Se dobbiamo incolpare Riccardo Zanotti della povertà di orizzonti della cultura pop musicale che va per la maggiore, allora potremmo ritenere responsabile anche Gazzelle: le note sono sette (dodici solo per Schönberg), ma i temi da trattare nelle canzoni e i riferimenti estetici sembrano essere ancora di meno. E, con il deserto culturale alle porte, in uno scenario che predica l’originalità ma premia la banalità, puntare il dito e parlare di plagio è solo un ulteriore segnale della fine, di un gioco della comunicazione dal quale è scomparsa ogni nuance.