È attesa per oggi la decisione del Consiglio di Stato sulla caccia ai cervi d’Abruzzo. La caccia sarebbe dovuta iniziare a ottobre, ma a seguito della disfatta davanti al Tar Abruzzo, le associazioni ambientaliste e animaliste Lav, Lndc Animal Protection e Wwf si erano rivolte al massimo grado della giustizia amministrativa ottenendo lo stop fino alla discussione in camera di consiglio che si terrà oggi, giovedì 7 novembre.

Lo scorso 8 agosto una delibera adottata dalla giunta regionale abruzzese ha dato il via all’abbattimento di quasi 469 cervi all’interno di due aree comprese tra Avezzano, Sulmona, Subequano, L’Aquila e Barisciano, tutte al di fuori delle aree protette e delle aree ad esse contigue. Come ha spiegato il vicepresidente della giunta regionale e assessore all’Agricoltura, Emanuele Imprudente, a spingere la Regione a intervenire sono stati gli «operatori del settore e associazioni agricole» che hanno lamentato danni alle attività a causa della massiccia presenza degli ungulati.

La sospensione della caccia ai cervi: le richieste degli animalisti

Gli abbattimenti sarebbero dovuti iniziare il 14 ottobre e durare fino al 15 marzo, ma una serie di ricorsi alla giustizia amministrativa hanno decretato uno stop fino ad oggi. Il Tar abruzzese il 10 ottobre aveva respinto le rimostranze delle associazioni, motivando la decisione con la correttezza dell’operato della Regione dato che il cervo rientra tra le specie cacciabili e che la delibera rientra nel Piano faunistico venatorio regionale.

Frange della politica e dell’attivismo hanno però denunciato la scarsa scientificità su cui si è basata la delibera. Lo studio di fattibilità commissionato dalla Regione avrebbe evidenziato come i cervi siano in «sovrannumero» rispetto alle capacità del territorio, con conseguenti danni alle colture agricole e alla sicurezza stradale, come riporta l’assessore Imprudente: «Dai dati sul monitoraggio delle popolazioni dei cervidi in Abruzzo emerge la presenza di un numero di capi più del doppio rispetto a quello del 2018 in termini assoluti».

Questi dati però sono stati oggetto di forte critica da parte del deputato di Forza Italia Nazario Pagano che ha espresso un giudizio molto severo sullo studio dopo averlo visionato: «Lo ritengo insufficiente e inadeguato. A ciò si aggiunge che il monitoraggio e il censimento dei cervi è troppo approssimativo, e di scarso valore scientifico».

Un parere condiviso dalle associazioni Lav, Lndc Animal Protection e Wwf: «È impensabile continuare a giustificare la caccia come soluzione che possa favorire la convivenza fra i cittadini e gli animali selvatici. Il nostro obiettivo deve essere quello di cercare alternative più rispettose per l’ambiente e per gli animali stessi. La caccia ai cervi rappresenta una soluzione di comodo che ignora le possibili alternative non violente, a favore della lobby venatoria».

Ad eseguire gli abbattimenti infatti sono proprio i cacciatori. Secondo la tabella allegata alla delibera, ogni cacciatore deve versare un premio secondo un tariffario ben preciso, definito sulla base del tipo di cervo e della residenza del cacciatore assegnatario. Prezzi più economici sono stabiliti per i cuccioli con meno di 12 mesi che se abbattuti da cacciatori residenti in Abruzzo costano solo 50 euro, mentre la cifra sale a 200 per coloro che vengono da fuori regione.

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Il tariffario per cacciare i cervi d’Abruzzo

I prezzi salgono all’aumentare del prestigio del «trofeo», come sono definiti nel documento i maschi adulti dai grandi palchi.

Eppure, secondo politici e attivisti esistono delle soluzioni non cruente per la convivenza.

Perché la caccia non è la soluzione

Secondo gli attivisti la caccia non è la soluzione. Le ong hanno ribadito «l’importanza di considerare gli animali selvatici non come risorse da sfruttare, ma come parte integrante del nostro patrimonio naturale, che va tutelato e rispettato. Non possiamo permettere che l’interesse di pochi prevalga sulla salvaguardia della natura e degli animali che la abitano. L’unica via è quella del rispetto e della convivenza pacifica».

Così come l’associazione Formiche d’Italia APS si è rivolta direttamente al Ministero dell’Ambiente presentando un documento con soluzioni alternative all’abbattimento come il trasferimento di alcuni esemplari o gli incentivi all’agricoltura.

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