Dominique Pelicot è stato condannato al massimo della pena, 20 anni di carcere, per gli stupri aggravati contro l’ex moglie Gisèle Pelicot, nel processo sugli stupri di Mazan che si chiude oggi, giovedì 19 dicembre, ad Avignone. Nessuno dei co-imputati è stato assolto. Le prime condanne inflitte ai 50 coimputati sono, per il momento, significativamente inferiori a quelle richieste dall’accusa, che aveva fissato una pena minima di dieci anni per gli stupri.

«Signor Pelicot, lei è ritenuto colpevole per stupro aggravato sulla persona di Gisèle Pelicot’», ha dichiarato il presidente della corte criminale di Vaucluse, Roger Arata. Dominique Pelicot, 72 anni, si è alzato in piedi, ha ascoltato il giudice con attenzione, ma senza esprimere particolari emozioni. È anche ritenuto colpevole di aver raccolto immagini a loro insaputa della moglie e della figlia. Tutta la famiglia è presente questa mattina in aula al Palazzo di Giustizia di Avignone.

Le «scuse» del marito

Il maxiprocesso shock sugli «stupri di Mazan» ha squarciato il velo sulla «sottomissione chimica». Impassibile, la vittima, Gisèle Pelicot, nell’ascoltare in aula le «scuse» dell’ex marito che per dieci anni l’ha drogata e stordita per farla stuprare da decine di uomini che convocava attraverso Internet. Fra i 50 imputati di violenza sessuale, solo una quindicina ha espresso frasi di scuse nei confronti di Gisèle, la cui vicenda ha fatto – dall’inizio del processo a settembre – il giro del mondo.

«Vorrei cominciare», ha detto Dominique Pelicot, «con il rendere omaggio al coraggio della mia ex moglie. Io prego lei», ha continuato l’uomo che ha pensato e organizzato gli stupri fra il 2011 e il 2020 da parte di decine e decine di persone reclutate sul web, «e il resto della mia famiglia, di voler accettare le mie scuse. Mi pento di quello che ho fatto, di averli fatti soffrire da quattro anni (dalla data in cui emersero i fatti, ndr), domando loro perdono».

Gisèle, anche lei 72 anni, ha ascoltato senza battere ciglio, anche quando l’ex marito ha dichiarato, nella sua ultima occasione per prendere la parola in aula, di aver detto «la completa verità» in queste 14 settimane di dibattimento. Affermando che il suo unico desiderio è «farsi dimenticare» per la «vergogna» che prova dentro di sé. «Mi sono costruito una corazza», ha detto, «altrimenti in prigione si muore».

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