La relazione tra moda – intesa come proposta di passerella – e vita è un moto ondivago che oscilla tra utopia, messa in scena e cinéma vérité. La stagione del prêt-à-porter maschile, dopo Milano, prosegue a Parigi all’insegna di quello che si potrebbe definire realismo magico: i tempi delle stravaganze eccentriche sono momentaneamente passati, ma lo stesso può dirsi anche delle esagerazioni espressioniste, delle durezze da strada di periferia. Si afferma una concretezza leggera, venata al meglio di poesia, toccata da un decorativismo lieve.

Jun Takahashi di Undercover cattura da maestro queste istanze in una collezione di abiti leggeri come pigiami, assemblati con la libertà istintiva di chi si priva di pesi e zavorre esistenziali per affrontare un viaggio spirituale, e la presenta su ragazzi secchi e lunghi, gli occhi schermati da velette di pizzo, un po’ rocaille, un po’ punk, vagamente tribali, latori tutti di una visione del maschile di certo femminea, ma non manierista.

Louis Vuitton, la collezione per la PE 2025

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Da Louis Vuitton, Pharrell Williams tesse una ode alla fratellanza universale che è forse un po’ buonista, ma di certo tempestiva, e sceglie come teatro il grande piazzale antistante la Maison de l’Unesco, completo di enorme globo terrestre in griglia di ferro. Tutto nello show parla di gigantismo, vera ossessione per i conglomerati del lusso, ma la scala monumentale non opprime i vestiti, che sono grafici e opulenti, con quel tanto di bling bling che qui è prassi. Nonostante il tema hippie, Williams lavora in larga parte sul nero, e poi su toni chiari, inseguendo l’idea dell’abito in nuance con il colore della pelle, che è una prospettiva stimolante, e in potenza molto sensuale. Non ci sono giochi pirotecnici, però, e nemmeno le fantasmagorie delle scorse stagioni, che sono invece riservate alle borse, ora e sempre vero core business.

La pelle, intesa come nudità che lampeggia è parte dell’idioma di Louis Gabriel Nouchi: il suo logo, dopo tutto, è un taglio. Questa stagione Nouchi in verità parla del corpo coprendolo più del solito, suggerendo la peluria con jacquard ondosi, lasciandolo occhieggiare da trasparenze. Sono corpi standard e non, quelli che mostra, e il messaggio è convincente.

Il realismo magico di stagione tanto più risplende quanto più si ammanta di una sorta di sbilenco classicismo, di una patina di apparente normalità. Da Auralee i modelli deambulano svagati nelle stanze di una dimora patrizia quasi fosse sabato mattina, con il cane che pressa per uscire e la spesa che va fatta, o la prospettiva della passeggiata al parco, e allora ci si mette il soprabito sul pigiama e l’impermeabile sui jeans bianchi. I personaggi di Lemaire hanno sempre una nonchalance acciaccata e consapevole che fa pensare ai film di Wim Wenders, ma questa stagione le stratificazioni lasciano spazio alla sensualità, con la pelle che si mostra, la severità che si ammorbidisce e la classe di sempre.

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