La morte di Steve Albini ha riportato in auge una lettera in cui il musicista scriveva ai Nirvana rinunciando alle royalties per In Utero.

Cosa ha rappresentato Steve Albini, ingegnere del suono e fondatore di band come Shellac e Big Black scomparso ieri, è qualcosa di molto difficile da spiegare. Il nome di Albini è scolpito nella Storia della musica mondiale, benché sia sconosciuto ai più, forse anche a quelli che hanno amato album prodotti da lui come In Utero dei Nirvana, Surfer Rosa dei Pixies, Rid of me di Pj Harvey, “Things We Lost in the Fire” dei Low. Oggi i social sono un profluvio di ricordi, aneddoti, degni di una grande star della musica quale, ovviamente, Albini era, ma il ruolo dei produttori – usiamo il termine per semplicità, benché Albini non lo amasse – è sempre meno conosciuto dal grande pubblico, soprattutto di quelli che sono cresciuti e proliferati nell’underground serio, il DIY, senza ricercare le melodie radiofoniche ma preferendo il “caos” (no, non era caos, ma per orecchie abituate alle radio poteva sembrare”.

La grandezza di Albini, però, oltre che dal punto di vista musicale e del suono (online potrete trovare discussioni interessanti, per esempio, su come faceva suonare le batterie) ha a che fare anche con la persona che era e che sarebbe diventata. In molti stanno ricordando il modo in cui il musicista ha riflettuto sul privilegio derivato dal suo essere un maschio bianco, partendo dagli errori fatti in gioventù, quando dava tutto per scontato e faceva pesare questo privilegio alle minoranze e pur facendolo, talvolta, senza intenzioni violente, i suoi atteggiamenti lo diventavano indipendentemente da questa volontà. C’è una frase che disse in un’intervista e che, in qualche modo, caratterizza il suo percorso: “Quando ti rendi conto che la persona più stupida nella discussione è dalla tua parte, significa che sei dalla parte sbagliata”

Ma un altro aspetto del suo lavoro che ha sempre colpito è l’onesta economica: siamo chiari, Steve Albini avrebbe potuto diventare ricco e sfruttare al massimo i suoi successi, eppure non lo fece perché l’etica veniva prima di tutto. Il musicista, infatti, non prendeva royalties dagli album, ma si faceva pagare un prezzo fisso. Esemplare è la lettera che scrisse – ed è tornata a girare – ai Nirvana prima di mettersi a lavorare su In Utero, album del 1993: quest’album arrivava dopo il successo mondiale di Nevermind, quando Cobain scelse di affidarsi a qualcuno che fosse veramente underground anche per mostrare che non si era venduto al mercato.

È morto Steve Albini, il chitarrista e produttore degli Shellac aveva 61 anni

In quella lettera Steve Albini chiariva: “Non voglio prendere e non prenderò royalty su nessun disco che registro. Punto. Penso che pagare una royalty a un produttore o a un ingegnere sia eticamente indifendibile. La band scrive le canzoni. La band suona la musica. Sono i fan della band che comprano i dischi. La band è responsabile se si tratta di un disco fantastico o di un disco orribile. I diritti d’autore appartengono alla band”. E ribadiva: “Vorrei essere pagato come un idraulico: io faccio il lavoro e tu mi paghi quanto vale. La casa discografica si aspetterà che io chieda un punto o un punto e mezzo. Se consideriamo tre milioni di vendite, il totale ammonta a circa 400.000 dollari. Non c’è alcuna possibilità che io prenda così tanti soldi. Non riuscirei a dormire”.

Il musicista spiegava che il motivo principale è doversi sentire a proprio agio e con tutti quei soldi non sarebbe successo: “Devo sentirmi a mio agio con la somma di denaro che mi pagate, ma sono soldi vostri, e insisto affinché anche tu ti senta a tuo agio. Kurt (Cobain, ndr) ha suggerito di pagarmi una quota che considererei il pagamento completo, e poi, se pensate davvero che meriti di più, di pagarmi un’altra quota dopo averi avuto la possibilità di stare un po’ assieme all’album . Andrebbe bene, ma probabilmente ci sarebbero più problemi organizzativi che altro (…). Vi lascerò la decisione finale su quanto verrò pagato e quello che sceglierete non influenzerà il mio entusiasmo per il disco.

Infine, Albini chiudeva così questa considerazione sul pagamento, con l’onestà che lo contraddistingueva: “Alcune persone nella mia posizione si aspetterebbero un aumento degli affari dopo essere stati associati alla tua band. Io, tuttavia, ho già più lavoro di quello che posso gestire e, francamente, il tipo di persone che tali superficialità attireranno non sono le persone con cui voglio lavorare. Per favore, non consideratelo un problema”.

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