Un Paese tormentato e un premier filo-cinese
Le dimissioni di Oli gettano il Nepal – uno Stato himalayano stretto, non solo geograficamente, tra Cina e India – nel caos. Una situazione ricorrente per il Paese da quando, nel 2008 al termine di un decennio di guerra civile, la monarchia è stata abolita. Oli è presidente del Communist Party of Nepal (Unified Marxist–Leninist) e ha guidato il Nepal tra il 2015 e il 2016 e tra il 2018 e il 2021.
La sua uscita di scena crea un’evidente situazione di instabilità sul confine con l’India, ma non è destinata a essere rimpianta più di tanto a New Delhi. Sotto la premiership di Oli (la prima in particolar modo), il Nepal si è progressivamente avvicinato alla Cina, generando una certa apprensione negli ambienti diplomatici e strategici della capitale indiana.
L’India segue con grande attenzione gli sviluppi politici nel suo vicinato. Come è noto, New Delhi ha rapporti a dir poco complicati con il Pakistan e – a dispetto del recente viaggio a Tianjin del premier Modi – con la Cina. La scorsa estate, con la caduta e la fuga dell’ex premier Sheikh Hasina, ha “perso” anche una solida sponda politica in Bangladesh. Mentre le recenti elezioni in Sri Lanka e Maldive hanno mandato al potere leader con consolidati rapporti con Pechino.
La messa al bando dei social
La scorsa settimana diverse piattaforme social, tra cui Facebook, X e YouTube, sono state bloccate in Nepal per non aver rispettato il nuovo obbligo di registrarsi e sottoporsi alla supervisione del governo. «Basta con il divieto ai social media. Fermate la corruzione, non i social media», gridavano lunedì i manifestanti, sventolando bandiere nepalesi.
La violenza è esplosa mentre il governo del Nepal cercava di regolamentare i social media con un disegno di legge volto a garantire che le piattaforme siano «responsabili, rendicontabili e gestite correttamente». La proposta è stata interpretata da molti come uno strumento di censura per colpire gli oppositori dell’esecutivo.
