Il tecnico portoghese sintetizza in poche parole la sua idea di calcio: “Chi segna un gol in più o ne subisce uno in meno, vince. Il resto lo lascio ai fenomeni”. E liquida in poche parole la dicotomia che lascia il tempo che trova tra ‘risultatisti’ e ‘giochisti’.
“La grandezza di un allenatore è nei risultati, non nella filosofia”. La capacità di sintesi di José Mourinho mette da parte il chiacchiericcio che fa parte del corredo accessorio del calcio. Si tira fuori dal dibattito che lascia il tempo che trova tra ‘risultatisti’ e ‘giochisti’. Non gli interessa, perché dovrebbe? Oggi si ricorderebbero di lui se non avesse vinto trofei (alcuni anche molto importanti) ovunque ha allenato? E cosa rammentano di più: la sua interpretazione pragmatica del calcio oppure il numero delle volte che ha alzato le braccia al cielo in segno di vittoria? Facile facile trovare la risposta: basta vedere l’affetto che gli ha tributato la Capitale nel momento più difficile e per il grande rapporto che è riuscito a costruire con il popolo giallorosso.
Nel calcio, però, si sono dinamiche che rendono tutto più complicato, controverso, oscuro… alle quali non sfuggi nemmeno se sei ‘speciale’. È successo anche a Mou ma la malia che lo accompagna è data dai fatti, dal campo e non dall’aura mediatica che invece caratterizza “gli allenatori bravi che non sanno vincere”. Definisce così, ma sempre col dovuto rispetto, quei colleghi che godono di un appeal particolare. “Di solito quando la gente parla di me pensa a cosa è successo quindici, dodici, otto o dieci anni fa – ha chiarito nell’intervista a Ivan Zazzaroni, direttore del Corriere dello Sport – . È così per la maggior parte dei grandi allenatori che di solito guidano le squadre migliori e hanno le maggiori possibilità di arrivare in finale. Negli ultimi anni ho fatto tre finali, una con il Manchester United e due con la Roma”.
E tanto basta a riavvolgere il nastro e tornare all’essenza del suo discorso: la grandezza di un allenatore è nei risultati, nella carriera e non nell’exploit del momento, nella capacità di restare fedele alle proprie idee e portarle avanti con intelligente determinazione, nella consapevolezza che il mondo del football si muove secondo una logica molto semplice. “Chi segna un gol in più o ne subisce uno in meno, vince”. E come fai a dargli torto, soprattutto se sei una grande squadra dove l’unica cosa che conta davvero è rendere più ricca la bacheca dei trofei (e le casse)? Non si può, anche al netto delle argomentazioni più efficaci sull’estetica del pallone e del “potere decisionale di gente che sa di calcio come io di fisica dell’atomo”.
José Mourinho va a Lisbona per operarsi: al tecnico del Fenerbahce sarà tolta la cistifellea
Var, tempo effettivo… a sentirli nominare Mourinho non si spinge oltre, è laconico e liquida la questione con una frase caustica: “Lasciamo questi argomenti ai fenomeni del calcio. Io sono solo un allenatore e voglio fare solo l’allenatore”. Umiltà, lealtà, educazione sono le tre qualità che scandisce di se stesso e del suo modo di interpretare la professione e il ruolo che svolge. “Sorrido pensando alla gente che ride di questa affermazione, però è così… E il difetto, non essere paraculo”. Nel bene e/o nel male il calcio non lo ha cambiato. Non si diventa Special One per caso o solo perché vinci tanto.