Il 2026 sembra iniziare in Europa con migliori auspici rispetto al 2025. Gli shock geopolitici e quelli di natura finanziaria sono alle spalle e si entra nell’anno da una posizione di maggior forza. «L’incertezza geopolitica, soprattutto a livello commerciale per effetto della questione dei dazi nella seconda parte del 2025 sembra essersi risolta e alcuni fattori si sono trasformati da negativi a positivi tanto che sia l’economia sia i mercati si sono dimostrati molto più resilienti».
A parlare così è Mario Pietrunti, economist di Bnl Bnp Paribas Asset Management . «Dal secondo trimestre in poi con l’annuncio del piano fiscale tedesco c’è stato un riprezzamento in positivo, segnando un passaggio importante per la ripresa economica in tutta l’Europa, visto che la Germania resta la locomotiva ed oggi questo piano è il policy mix di riferimento per l’Europa. I Paesi ad alto debito stanno avendo delle politiche fiscali prudenti e questo dà stabilità e premia. Vedi il caso Italia e Spagna dove i premi a rischio sono scesi. Quanto al tema “dazi”, quello che nei primi mesi del 2025 aveva frenato gli investimenti è stata più l’incertezza che la misura in se. Ora che la questione si è chiarita, la nebbia si è diradata. Poi l’effetto tassi da parte della Bce sta avendo un effetto positivo sull’economia reale e questo dovrebbe spingere ulteriormente al rialzo consumi e investimenti nel 2026».
In pole position
Insomma Pietrunti è ottimista sul percorso fin qui tracciato in Europa e ritiene che le potenzialità del piano fiscale tedesco per ora non siano state colte fin in fondo dagli investitori ma gli effetti si vedranno sia nel lungo periodo sia nel breve. «E’ un piano complesso con progetti di investimento infrastrutturale (ferrovie, autostrade e così via) i cui effetti si dispiegheranno nel lungo termine. Però ci sono delle misure di più breve termine, ad esempio i sussidi ai prezzi dell’energia per le imprese che hanno un impatto più immediato». C’è poi un altro fattore fondamentale che fa ben sperare sull’Europa. Si tratta delle potenzialità legate all’adozione dell’intelligenza artificiale nei processi produttivi delle imprese, «potenzialità non ancora prezzata e che ha la capacità di incrementare la produttività in Europa riducendo i costi. Come sta facendo la Cina che non ha sostenuto i costi di sviluppo dell’intelligenza artificiale e si limita ad integrarla, anche l’Europa se l’è ritrovata e potrebbe trarne enormi benefici in termini di efficienza». Non mancano però i rischi: da un lato burocrazia e costi di compliance, dall’altro nessuno ad oggi sa stimare i costi/rischi sociali, decisamente sottovalutati legati all’adozione dell’intelligenza artificiale.
Le opportunità d’investimento
In un riposizionamento di portafoglio forse troppo sbilanciato verso gli Usa, oggi l’Europa resta dunque la migliore alternativa «in terza battuta direi anche il sud-est asiatico – dettaglia ancora Pietrunti. Tra i settori che beneficeranno dell’aumento di produttività legato all’intelligenza artificiale, vedo le infrastrutture, il settore delle costruzioni e la manifattura in genere. Ma anche il chimico farmaceutico o tutti i settori che ad alta intensità energetica sono da valutare, visto che dovrebbero beneficiare del piano infrastrutturale tedesco che prevede sussidi energetici e favorisce tutto il tema della transizione verde. Siamo abbastanza costruttivi sulle banche perché se l’economia si riprende – conclude il manager – chi intermedia i flussi di denaro, a parità di tassi, ne beneficia in termini di marginalità. Inoltre, le banche torneranno anche al centro di processi di consolidamento».
Quali istituti di credito privilegiare
Non la pensa così Filippo Alloatti, Head of Financials Credit di Federated Hermes, che sottolinea come avendo l’indice EuroStoxx Banks incamerato una performance del + 64% (dati al 25 novembre 2025), l’asticella da superare per il 2026 è alta. «Detto questo, a meno di raggelate dal lato macroeconomico o collassi borsistici dovuti ad un repentino sgonfiamento della bolla AI, il posizionamento competitivo delle banche europee resta invidiabile – sottolinea Alloatti – tassi Bce al 2%, quelli negativi ormai lontana memoria, curve dei rendimenti positivamente inclinate, inflazione domata, effetti di coda, per il momento, evitati nelle guerre commerciali e un succoso piano di rilancio dell’economia tedesca per tornare motore della Eurozona. Se si aggiunge un quadro regolamentario che si auspica più favorevole alla crescita economica e un buon controllo dei costi e dei rischi – taluni ceduti ben volentieri ai fondi di private credit – corpose remunerazioni degli azionisti (riacquisti di azioni per 50 miliardi di euro e dividendi) gli ingredienti per un bis nel 2026 ci sono tutti». Alloatti sottolinea anche una selezione da privilegiare a livello geografico: in primis la Spagna dove il revival degli investimenti continuerà e gli alti tassi di risparmio, oltre il l 10% del reddito disponibile, spingeranno impieghi e commissioni. Segue la Germania, dove gli istituti di credito giocheranno un ruolo di rilievo nel trasmettere gli ampi impulsi fiscali alla moribonda economia domestica. «Si potrebbe aggiungere che le grandi banche francesi – conclude Alloatti – appaiono a buon mercato se la legislatura dovesse tenere, altrimenti meglio guardare altrove. Fase difficile anche per il settore bancario svizzero, a metà strada tra crisi esistenziale e ripensamento del ruolo della finanza elvetica in un mondo frammentato. Per dirla con uno slogan: banche sane in un’economia in crescita».