Napoli dovrebbe rimpiangere il Regno delle Due Sicilie e i Borbone? La risposta dello storico Macry alla questione che ciclicamente torna d’attualità.

Napoli dovrebbe rimpiangere il Regno delle Due Sicilie e i Borbone? Furono davvero gli anni della “Capitale del Sud”che diedero vita a iniziative straordinarie? La città vesuviana raggiunse davvero primati ed eccellenze? Nel 2018 Fanpage.it, all’uscita del libro di Paolo Macry “Napoli. Nostalgia di domani” (Il Mulino), chiese allo storico dell’Età contemporanea e politologo, di rispondere a questa domanda.

Domanda che oggi, all’indomani della serie tv Netflix “Briganti” che racconta, romanzandola, la storia del brigantaggio post-unitario nei territori meridionali continentali ex-borbonici, torna d’attualità.

Nel corso dell’intervista Macry rispose molto chiaramente alla questione. Lo fece come può farlo uno storico: in maniera analitica, basandosi su fonti, studi e sull’analisi del passato, senza passioni, né pregiudizi. Ecco cosa disse:

Morto Renato De Fusco, storico dell’architettura e del design: lutto nel mondo della cultura a Napoli

Napoli ha nel suo passato anche i Borbone, difficile dire se li debba rimpiangere o no. Di una dinastia che ricordiamolo, inizia nel 1734 e finisce nel 1860, quindi somma un certo periodo di durata. C’è una prima fase che è indubbiamente molto positiva, insomma la fase di Carlo di Borbone è stata valutata da tutti gli storici come una fase molto positiva a tanti livelli: riforme amministrative, riforme fiscali.

Si vede la mano di Carlo nella città, nel territorio e nell’urbanistica. Napoli, nel corso del Settecento, è una delle capitali europee dell’illuminismo ed è una delle più conosciute capitali europee. Si sviluppa un’intellighenzia di calibro internazionale.

Poi tutto si rompe nel 1799 con scelte politiche e geopolitiche sbagliate da parte della dinastia con questa singolare esperienza della Repubblica Napoletana, che sembra il trionfo, la conclusione trionfale dell’illuminismo. E poi scopre di essere, ahimè, fatta da elite isolate dal resto della popolazione.

Quando i francesi se ne vanno e quindi non proteggono più la Repubblica Napoletana, questa cade preda ad una grande vendetta della plebe cittadina. Ci sono episodi di violenza estrema nella città; c’è una caccia all’uomo che spazza via i presunti giacobini. In realtà è una caccia ai ricchi, ai signori e via dicendo.

Dopodiché, la dinastia Borbone sceglie di stare dalla parte di chi ha fatto strage e quindi torna a governare il Regno di Napoli sul sangue, perché in qualche modo organizza una sorta di grande vendetta contro la Repubblica Napoletana e i suoi leader. E come sappiamo, manda in piazza del Mercato decapitati o impiccati il fior fiore dell’intellighenzia meridionale, dice Benedetto Croce. Questa è una colpa storica.

E in realtà, se noi vediamo anche il seguito di questa storia, cioè le modalità con cui i Borbone affrontano l’Ottocento, un secolo complicato perché sta avvenendo fuori l’ideologia dello stato nazionale della nazione. Perché sta venendo fuori un diverso rapporto tra potere e popolo. I Borbone non riescono a seguire queste cose, si isolano.

L’Europa finisce quindi dallo stesso re Borbone, sono consapevoli di essere isolati dal resto dell’Europa e si isolano dal resto dell’Europa liberale. Si tengono aggrappati alle vecchie monarchie, ai vecchi imperi e nel 1860 crollano, crollano perché c’è Garibaldi, d’accordo, ma crollano in qualche modo perché hanno loro stessi scelto di rinunciare ai propri poteri.

Ci sono gli ultimissimi istanti di questa specie di agonia borbonica che sono singolari perché Francesco II, di fronte al precipitare degli eventi, si inventa una svolta costituzionale completamente fuori tempo, troppo tardiva, insomma, che non comporta assolutamente nulla.

Si può essere orgogliosi di tutto questo? Io direi di no. C’è un filone identitario forte a Napoli, c’è un filo borbonismo che si sforza di fare cultura, di produrre libri, ricerche, ricerche d’archivio, via dicendo. No, ma è sbagliata l’idea, cioè sbagliato che Napoli, una città che ha per certi versi un’identità debole, debba costruirsi un’identità facendo riferimento ad un passato borbonico e addirittura contrapponendo il passato borbonico al passato italiano, sembra questo un po’ paradossale.
Certo, non salverà il ricordo dei Borbone il fatto che qui c’è la prima ferrovia, il primo ponte in ferro o i cosiddetti primati. Quello che è sicuro è che esiste una condizione di arretratezza culturale, prima ancora che strutturale, in questo paese. E non c’è dubbio che i Borbone sono quelli che un po’ ci mettono la firma sotto questa condizione.

Condividere.
Exit mobile version