Ogni tre multe stradali irrogate dai Comuni, una passa direttamente dallo stato solido del verbale a quello gassoso dell’evasione, senza transitare dalla condizione liquida del pagamento. Al Nord l’evaporazione è un po’ meno frequente, ma coinvolge comunque circa il 25% delle sanzioni. Ma il fenomeno si fa endemico nel Mezzogiorno, dove è il 48,2% delle multe a rimanere confinata nella teoria contabile dell’accertamento senza sfondare mai nella realtà operativa dei pagamenti, fissando al 28,4% la media nazionale di questa forma di evasione da riscossione.
Entrate che zoppicano
Nelle multe si incontra solo la versione più profonda di un fenomeno che investe anche le altre entrate comunali: e che ogni anno fa sparire in media anche il 7,6% dell’Imu, il 15,9% della tariffa rifiuti e il 17% del canone unico patrimoniale, che ha fuso le vecchie entrate per la pubblicità e l’occupazione di suolo pubblico.
Il progetto
A mettere in fila le cifre sono gli stessi Comuni, in un’indagine realizzata dall’Ifel nell’ambito del Progetto riscossione che in collaborazione con Anacap (i concessionari privati della riscossione), Aspel (le società pubbliche del settore) e Gruppo 24 Ore ha proposto anche uno «studio di settore» sulle entrate locali per capire quel che funziona e quel che va migliorato nella macchina degli incassi territoriali. Perché i primi a essere preoccupati per gli accertamenti che non riescono ad assumere la forma di entrate reali sono gli amministratori locali, alle prese con bilanci che vedono gonfiarsi le spese per la spinta di fattori incomprimibili come i rinnovi contrattuali o le ricadute dell’inflazione mentre la colonna delle entrate è irrigidita da una leva fiscale arrivata ormai da anni ai massimi. Uno scenario del genere rende i mancati incassi parenti stretti delle crisi finanziarie, come mostra la quasi perfetta sovrapposizione fra la geografia dei buchi nella riscossione e quella di dissesti, pre-dissesti e deficit strutturali. E con queste premesse il recupero dell’evasione può offrire quell’ossigeno che non riesce ad arrivare da altre vie, e può attenuare la manovra sotterranea rappresentata dal fondo crediti di dubbia esigibilità, l’accantonamento obbligatorio proporzionale alle mancate riscossioni che ormai congela nei bilanci locali più di 6 miliardi.
Le evasioni
Per questa ragione le lenti dell’indagine puntano prima di tutto sull’evasione da riscossione, cioè sulla quota di entrate accertate ma non riscosse. Questo approccio non fotografa tutto il “nero”, perché si concentrano sulle basi imponibili già individuate e quindi messe a bilancio senza allargare lo sguardo al sommerso vero e proprio. Questo passo in più è stato compiuto dal Cifrel, il centro interuniversitario di ricerca sulla finanza locale presso l’Università Cattolica, che in linea con le stime Mef cifra in poco più di 5 miliardi il tax gap dell’Imu. Ma anche al netto dell’imponibile che sfugge, quote variabili dell’imposta sul mattone non vengono pagate, in una linea crescente che parte dal 3% del Nord Ovest per salire fino al 13,7% del Mezzogiorno. Lo stesso bradisismo delle entrate verso Sud si incontra in tutte le principali voci, a partire dalla Tari che a Mezzogiorno fa mancare alle casse il 30,4% del gettito (il doppio della media nazionale, il triplo rispetto al Nord) aggravando un problema di costi già ingigantiti dal deficit impiantistico e dalla conseguente necessità di spedire altrove i rifiuti.
Su tutto questo pesa l’anello debole della riscossione coattiva, che scende in campo quando né i versamenti spontanei né gli avvisi di accertamento riescono a portare in cassa le entrate attese. Questa ultima frontiera dovrebbe chiudere il ciclo della riscossione, ma riesce a raccogliere solo una piccola minoranza delle somme che le sono affidate: non arriva al 15% nella Tari e nel Canone unico, arranca fino al 16,3% nell’Imu e sale al 28,2% nelle multe per un evidente effetto rimbalzo alimentato dai fallimenti più profondi dei passaggi precedenti.