News su migranti e sbarchi in Italia
19 Novembre 2024
18:16
Nella notte tra il 7 e l’8 novembre, un barchino con 80 persone a bordo è stato speronato dalla Guardia Costiera tunisina fino a farlo ribaltare. I sopravvissuti sono stati deportati nel deserto e venduti ai libici.
Un barchino vuoto in seguito ad un respingimento della Guardia Costiera libica, Mediterraneo centrale giugno 2024, foto di Lidia Ginestra Giuffrida
“Aspettavo da giorni notizie di mio cugino Musa, aveva sedici anni ed era scappato, come me, dalla guerra in Sudan. Sapevo che era partito dalla Tunisia per raggiungere l’Italia ma la sua chiamata, dall’altra parte della costa, non è mai arrivata”, racconta Mohammed (nome di fantasia) rifugiato sudanese a Sfax.
Sono le sette di sera dello scorso 7 novembre, a 19 chilometri da Sfax il mare che separa la Tunisia dalla porta d’Europa, Lampedusa, è una distesa nera. Il barchino è già in acqua con a bordo ottanta persone: una ventina di donne, tredici incinte, bambini, ragazzi e uomini. La costa è ancora vicina quando una motovedetta della Guardia Costiera tunisina intercetta i naufraghi. “Sono arrivati i tunisini, li hanno speronati, poi li hanno fatti ribaltare e li hanno guardati affogare”, racconta Mohammed, “mio cugino Mussa, è uno dei minori annegati quella notte insieme ad altre 52 persone”.
Tra le vittime c’era una madre insieme al suo bimbo di tre anni, la Guardia Costiera tunisina li ha lasciati affogare. La stessa Guardia Costiera che l’Italia finanzia da più di un anno e alla quale, lo scorso agosto, il governo Meloni ha regalato – nonostante lo stop richiesto da diverse ong e accolto dal Consiglio di Stato – le prime tre motovedette delle sei totali previste dal memorandum Italia-Tunisia per “rafforzare le attività di salvataggio in mare e le azioni di contrasto ai trafficanti di esseri umani”.
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alcuni dei volti delle persone naufragate il 7 novembre
Secondo le ricostruzioni di chi è sopravvissuto, a salvarli è stato un pescatore tunisino, poco dopo costretto a consegnare i 23 superstiti alla Guardia Costiera che li ha riportati indietro a Sfax. “Una volta tornati a Sfax sono stati consegnati alla polizia che a sua volta li ha divisi in due gruppi: un gruppo è stato abbandonato nel deserto tra Libia e Tunisia e un altro gruppo venduto ai libici, nel centro di Al-Assah”, continua Mohammed, contattato dopo pochi giorni dal naufragio dagli amici del cugino, che stavano con Musa quella notte.
Nel deserto, adesso, si trovano 13 donne incinte senza cibo né acqua e senza la possibilità di tornare indietro. Tornare verso i centri abitati vorrebbe dire consegnarsi alla polizia tunisina e rischiare la prigione o di essere deportati in zone ancora più distanti del deserto. Il resto dei sopravvissuti, invece, sono stati venduti dalle autorità tunisine ai trafficanti libici della prigione di Al-Assah, centro di detenzione a cielo aperto al confine tra Libia e Tunisia, noto per la compravendita di esseri umani.
Posizione in cui al momento si trovano le 13 donne gravide
“Quello che Mohammed ci ha raccontato non rappresenta un caso isolato. Al contrario è una dinamica che si verifica molto spesso in Tunisia”, racconta Alice Basiglini dell’associazione Baobab Experience che da più di un anno monitora ciò che accade ai rifugiati in Tunisia. “Sappiamo ad esempio che solo il giorno prima, un altro natante è stato affondato dalla Guardia costiera tunisina e che ci sono stati altri morti senza nome e senza corpi da recuperare e piangere. La Tunisia è il primo partner commerciale italiano e destinataria di 4,8 milioni di euro previsti dal memorandum Italia-Tunisia e 105 milioni promessi da Ursula von der Leyen al presidente Kais Saied per impedire ai migranti sub-sahariani di salpare per l’Europa. La maggior parte di questi fondi è destinata proprio alla Guardia Nazionale. La Commissione europea, nonostante le inchieste, le testimonianze e le evidenti violazioni dei diritti umani, continua ad assicurare che sono stati messi in piedi meccanismi di monitoraggio dei casi di violazione degli standard Ue, mi chiedo allora quali siano gli standard dell’Europa in materia di diritti umani?”.
Mohammed resta da solo a Sfax, nella Tunisia di Kais Saied ancora presente nella lista dei paesi considerati sicuri dal governo Meloni. “La nostra vita qui è continuamente in pericolo, non sappiamo se e per quanto sopravviveremo. Chi non è mentalmente forte in Tunisia rischia il suicidio”, continua Mohammed, che chiede di condividere la sua ultima preghiera per il cugino, Musa, “il suo fratellino”: “I morti non sentono, ma se voi potete sentirmi, volevo dirvi che siamo molto dispiaciuti per la vostra perdita. Avete tentato con tutte le vostre forze di raggiungere terre sicure Ma forse ora siete in un posto migliore, Eravate brave persone, e le brave persone non vivono a lungo in questo mondo. Che le vostre anime riposino in pace”.