Mathieu Blanchard ha vinto la Yukon Arctic Ultra 2025, la ultrarail più massacrante in assoluto: oltre 600 chilometri tra i ghiacciai canadesi a trascinare una slitta. A temperature polari: “La più alta è stata -21, ma abbiamo taccato i -50”. In condizioni a dir poco estreme: “La prima notte metà dei partecipanti è fuggita, io ho avuto 15 giorni di crisi. Il freddo mi ha tagliato i polmoni”

La Yukon Arctic Ultra è la più massacrante delle corse rail che esistano sulla faccia della terra. Si tratta di una gara lunga 608 chilometri da percorrere tra le nevi e i ghiacciai del Canada nord-occidentale, trascinando una slitta. A temperature impressionanti che toccano anche i -50 gradi. A vincere l’ultima edizione è stato Mathieu Blanchard lo scorso febbraio, dopo sette giorni e 22 ore sui 12 stabiliti come massimo: “Lo faccio per noia, è un ritorno al mio istinto selvaggio. Per prepararmi mi sono allenato nelle celle frigo, non è stato piacevole”.

La Yukon Arctic Ultra si può correre in 12 giorni, questo è il tempo massimo prefissato dagli organizzatori. Mathieu Blanchard l’ha conclusa in poco meno di 8 giorni. Basterebbe questo dato per dare il senso dell’impresa titanica del 37enne francese che si è preso l’onore lo scorso febbraio di alzare al cielo per primo le braccia nell’edizione 2025 della più dura ultrarail del pianeta: “La prima notte metà dei partecipanti, circa una ventina è scappata. Avevano le dita congelate, sono corsi in ospedale a salvarle”. Questa è però solo una delle “fotografie” che Blanchard  si è divertito a raccontare dell’ultima sua impresa.

Un’impresa che difficilmente può venire ripresa, filmata, registrata e poi documentata: “Quello che più mi piace fare è raccontare storie” ammette Blanchard, “ma la cosa più costosa è produrre un film sulla gara. Cerco di convincere gli sponsor a pagare i ragazzi che vanno a filmare e rompono le loro telecamere perché fa troppo freddo, ma non è mai facile”. Il freddo, ecco il grande nemico della Arctic Ultra. “La temperatura più alta che ho avuto è stata di -25°C, ma siamo scesi spesso sotto i 40, a volte abbiamo toccato i -50. Non ti puoi preparare davvero a qualcosa del genere, non si è mai pronti a percorrere 600 chilometri a – 50 gradi”.

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Eppure, la preparazione ci vuole, eccome. E lo stesso Blanchard l’ha dovuta fare, inventandosi anche il proprio allenamento nel modo che ricordasse il più vicino simile la gara: “Si cerca il più possibile di riprodurre un po’ come credi che ti sentirai in quei momenti. Quindi per prepararmi andavo in montagna e tiravo una gomma in mezzo alla strada. Le persone mi guardavano… sembravo un po’ stupido, ma vabbè… Capita. Sono anche andato in una cella frigo” ha svelato l’atleta francese. “Era l’unico modo per allenarmi a -20°C: vi assicuro, è orribile, non è per niente piacevole”.

Anche Blanchard ha però rischiato di non arrivare fino al traguardo: “Quando ero davvero stanco e crollavo, cercavo di dormire. Ma quando sei in un sacco a pelo, a terra, senza tenda, a meno 40 gradi, non è un sonno ristoratore. Se sei di buon umore, avrai delle belle piccole allucinazioni. Ma se sei di cattivo umore, puoi vedere mostri, che ti attaccano”. Problemi di natura mentale ma anche fisica, ai quali ha dovuto fare fronte, come per il  grave problema polmonare che lo ha costretto a fermarsi per 15 ore: Non riuscivo a respirare. Il freddo mi aveva tagliato i polmoni. E’ stato orribile: come se stessi sputando fuoco in due palloncini sgonfi”.

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