Ci sono 22 campanelli di allarme, in gergo bandiere rosse o “red flags”, comuni a tutte le malattie rare e che possono aiutare a ridurre la vera e propria odissea diagnostica che vivono pazienti e famiglie. Gli ultimi dati del Rare Barometer, pubblicati sull’European Journal of Human Genetics, infatti, dipingono uno scenario allarmante: le persone con malattia rara attendono in media fino a 5,4 anni per ottenere una diagnosi definitiva. La situazione si aggrava drammaticamente per le fasce più vulnerabili della popolazione.

I dati sul ritardo nelle diagnosi

I bambini tra i 2 e i 10 anni devono aspettare mediamente 8,8 anni, mentre per gli adolescenti (10-20 anni) l’attesa si prolunga fino a 10,4 anni. Anche le donne risultano penalizzate rispetto agli uomini in questo percorso diagnostico. Tuttavia, uno degli elementi più incoraggianti emersi dalla ricerca dimostra che un corretto indirizzamento verso un centro specializzato può ridurre il tempo medio di attesa del 60%, un dato che sottolinea l’importanza cruciale di una diagnosi tempestiva.

Il ruolo dei centri regionali

E proprio i Centri di Coordinamento per le Malattie Rare delle Regioni italiane si sono ritrovati tutti insieme a Napoli per il progetto Argo e hanno identificato per la prima volta questi 22 indicatori clinici e operativi che rappresentano altrettanti campanelli d’allarme. Tra le “red flags” più significative figurano l’attenta valutazione della storia familiare, la presenza di cluster di malformazioni congenite, manifestazioni insolite di malattie comuni, ritardi o regressioni nello sviluppo neuroevolutivo e patologie gravi senza spiegazione evidente. Questi segnali, quando valutati insieme, possono fare la differenza nel percorso diagnostico, permettendo di comporre quel “puzzle” complesso che caratterizza le malattie rare.

La voce delle famiglie e delle associazioni

Come sottolinea Francesca Squillante, presidente dell’Associazione Famiglie e Pazienti affetti da mutazione del gene PCDH19 «nelle malattie con esordio precoce la diagnosi tempestiva è cruciale perché consente alle famiglie di garantire interventi multidisciplinari che possono migliorare da subito la qualità di vita di bambine e bambini». Il successo nell’identificazione precoce delle malattie rare dipende in larga misura dalla preparazione dei professionisti sanitari di primo contatto. Medici di famiglia, pediatri e operatori dei pronto soccorso rappresentano la prima linea nella lotta contro il ritardo diagnostico, ma necessitano di formazione specifica per sviluppare quella “cultura del sospetto” indispensabile per riconoscere questi segnali e indirizzare pazienti e famiglie al centro di riferimento. «Nei pronto soccorso effettuiamo 20 milioni di visite all’anno e, al netto delle difficoltà che i professionisti affrontano giorno e notte in emergenza, è importante che questi elementi di conoscenza e consapevolezza siano nel loro bagaglio professionale per creare percorsi verso i centri malattie rare per pazienti e famiglie» spiega Fabio De Iaco, Direttore S.C. MEU1, Ospedale Maria Vittoria Torino e Past President SIMEU.

La formazione dei professionisti: chiave per il cambiamento

Il progetto Argo punta proprio a potenziare questa formazione, fornendo strumenti operativi concreti per trasformare la conoscenza scientifica in pratica clinica quotidiana. L’iniziativa prevede anche l’utilizzo di nuove tecnologie per accorciare il percorso diagnostico e l’aumento del numero di centri specializzati. Il professor Giuseppe Limongelli, direttore del Centro di Coordinamento Malattie Rare della Regione Campania e responsabile scientifico del progetto, sottolinea come l’obiettivo sia «mettere insieme i massimi esperti per definire gli indicatori trasversali da cercare nella storia clinica dei pazienti». Davide Cafiero di Helaglobe, la società di ricerca che supporta il progetto, aggiunge che «la sfida è trasformare la conoscenza scientifica in strumenti operativi capaci di aiutare i professionisti sanitari».

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