Autonomia differenziata delle Regioni



13 Dicembre 2024



14:49

Dopo il via libera della Cassazione, manca quello della Corte costituzionale: il referendum sull’Autonomia differenziata è arrivato a un punto decisivo. Fanpage.it ha intervistato il costituzionalista Alfonso Celotto per chiarire cosa può succede ora, e anche le conseguenze se il referendum dovesse passare oppure essere bocciato.

Intervista a Alfonso Celotto

Professore ordinario di Diritto costituzionale all’Università Roma tre

La decisione della Corte di Cassazione sul referendum contro l’Autonomia differenziata è stato un passaggio importante. Nonostante le incertezze che alcuni giuristi avevano sollevato, la Cassazione ha stabilito che il quesito resta valido, e quindi si può andare a votare. Ora, però, resta un ‘ostacolo’ per chi promuove il referendum: la Corte costituzionale, che deve dare l’ultima approvazione. Fanpage.it ha intervistato Alfonso Celotto, professore ordinario di Diritto costituzionale alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università Roma tre, per spiegare cosa succede ora. Il punto, ha sottolineato Celotto, è che se il referendum passa questa potrebbe essere la fine dell’Autonomia: il governo non potrebbe ripresentare la riforma fino alla prossima legislatura.

Perché la Cassazione ha dato il via libera al referendum sull’Autonomia

Il costituzionalista ha chiarito, per prima cosa, che la decisione della Cassazione non era affatto scontata: “C’era incertezza, bisognava capire se il referendum manteneva un senso dopo le dichiarazioni di incostituzionalità”. Infatti, a novembre la Corte costituzionale aveva dichiarato diversi passaggi della riforma incostituzionali, al punto da minarne le basi sotto certi punti di vista.

La Cassazione doveva stabilire se, anche con tutte queste modifiche, si trattasse ancora della ‘stessa’ legge, e se quindi il referendum potesse svolgersi. E i giudici hanno “deciso di dare il via libera, dicendo che il quesito mantiene un senso e c’è uno spazio per il referendum”.

Autonomia differenziata, via libera al Referendum per abrogarla dalla Cassazione: cosa succede ora

Insomma, i cambiamenti e i tagli della Corte costituzionale non hanno snaturato la riforma al punto da renderla un’altra cosa rispetto a ciò che il referendum vuole abrogare. Infatti, mentre dava il via libera al quesito per l’abrogazione totale dell’Autonomia, la Cassazione ha anche bocciato un altro referendum, quello proposto dalle Regioni, per abrogare solo alcuni punti. Questo perché si trattava di aspetti che invece sono già stati nettamente cambiati dall’intervento della Consulta.

Ha ragione Calderoli a dire che la legge è “viva e vegeta”?

Il governo Meloni, e in particolare il ministro Calderoli – primo firmatario e principale promotore della riforma – hanno ‘ribaltato’ la decisione della Cassazione presentandola non come una brutta notizia, ma come un fatto positivo: “Significa che la legge è viva e vegeta,  c’è ed è immediatamente applicabile“, ha dichiarato il ministro.

Celotto ha chiarito che questo è vero solo in parte: “La legge è viva e vegeta, non è totalmente applicabile, perché mancano da chiarire dei pezzi importanti”. Tra questi, ad esempio, “il ruolo del Parlamento, la modalità di definizione dei Lep, la modalità di definizione dei costi standard… Ci sono delle lacune da colmare“. Insomma, anche se il referendum non si dovesse svolgere o non dovesse passare, “servirà comunque una legge Calderoli 2.0 per integrare tutti questi punti”.

Al momento, quindi, non è di fatto possibile portare a termine le trattative tra lo Stato e le singole Regioni, che alcune amministrazioni avevano già intavolato: “Puoi cominciare a ragionarne, puoi dire ‘il Veneto vuole la protezione civile’, o ‘l’Umbria vuole gli aeroporti’, ma ti mancano i Lep e i costi standard. Sono due presupposti imprescindibili per poi andare a fare i calcoli e concretizzare l’autonomia”.

L’ultimo passaggio alla Corte costituzionale: come decideranno i giudici

A questo punto, per quanto riguarda il referendum, “dovrà essere la Corte costituzionale a capire, e farci capire, se il referendum è anche ammissibile, cioè se l’eventuale abrogazione della norma possa creare buchi o lacune incostituzionali“. Il passaggio della Consulta è molto atteso, perché è l’ultimo prima del via libera ufficiale al referendum. La deliberazione deve avvenire entro il 20 gennaio.

Celotto ha spiegato cosa dovranno tenere in considerazione i giudici costituzionali: “Per stabilire l’ammissibilità del referendum bisogna rispondere a una domanda semplice: tocca materie vietate ai referendum, come da articolo 75, comma secondo, della Costituzione?”.

Questo comma recita: “Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali”. In questo caso, Celotto ha spiegato che si potrebbe parlare di leggi tributarie, “ma l’Autonomia non riguarda direttamente la materia, la sfiora solamente”.

E non ci sarebbe nemmeno il possibile rischio, ventilato da alcuni dei promotori del referendum, che il quesito sia bocciato perché il ddl dell’Autonomia era collegato alla legge di bilancio. È vero che la Costituzione parla di “leggi di bilancio” tra quelle su cui è vietato svolgere un referendum, ma “si intendono i contenuti della legge, tributari e di bilancio”. Invece l’Autonomia differenziata non contiene direttamente interventi su questi temi.

Un ulteriore considerazione da fare è “se la legge è costituzionalmente necessaria o vincolata”, ovvero se si tratta di “una legge che se abrogata farebbe venir meno una disposizione della Costituzione o un aspetto essenziale per l’ordinamento democratico”. Ad esempio, una legge elettorale, che non può essere cancellata neanche temporaneamente perché diventerebbe tecnicamente impossibile svolgere delle elezioni. “Ma anche in questo caso, probabilmente, è una limitazione che non si applica” all’Autonomia, ha detto il costituzionalista. Insomma, ad oggi è decisamente possibile che la Consulta dia il suo via libera al referendum.

Cosa succede se il governo ‘perde’ il referendum e se lo vince

E se si andasse a votare, cosa succederà dopo? L’esito potrebbe essere decisivo non solo perché una vittoria del Sì (e quindi l’abrogazione della riforma) sarebbe una significativa sconfitta politica per il governo, ma anche perché poi l’Autonomia dovrebbe ‘sparire’ per diversi anni.

Infatti, Celotto ha ricordato: “Se al referendum vince il sì, non si può riproporre la legge fino alla fine della legislatura. È il cosiddetto vincolo referendario. Si andrebbe al 2027, l’Autonomia sarebbe bloccata per almeno tre anni”.

Almeno fino alle successive elezioni, quindi, non se ne potrebbe tornare a discutere. Al netto di eventuali elezioni anticipate, perciò, si parla di fine 2027 o inizio 2028 anche solo per intavolare una nuova riforma. E resta da vedere se le prossime elezioni confermeranno la stessa solida maggioranza di centrodestra che finora ha potuto portare avanti una riforma molto contestata dalle opposizioni: “C’è il rischio che chiuda definitivamente il capitolo dell’Autonomia differenziata”.

In caso contrario, cioè se il referendum sarà ritenuto illegittimo, vinceranno i No oppure non si raggiungerà il quorum, i lavori del governo potranno continuare tranquillamente: “Entro la fine dell’anno può arrivare la legge Calderoli 2.0 e partire con le intese”. L’eventuale voto, quindi, sarà davvero decisivo per stabilire se l’Autonomia si possa fare o meno.

Chi deciderà come si misurano i Lep

Nel recente decreto Milleproroghe, il governo è intervenuto anche sui Lep, i Livelli essenziali delle prestazioni. Si tratta di quelle prestazioni che devono sempre essere garantite, in tutto il territorio nazionale, e che quindi una Regione deve impegnarsi a fornire ai cittadini anche se ottiene l’autonomia su una certa materia. Per mesi, a lavorare sui Lep è stata una commissione di esperti guidata dal giurista Sabino Cassese. Ma il governo Meloni ha dato la funzione al Dipartimento per gli Affari regionali di Palazzo Chigi, con un ‘mandato’ di un anno fino al 31 dicembre 2025.

Non è stata una mossa obbligata per seguire le indicazioni della Corte costituzionale, ha affermato Celotto, ma di una semplice necessità tecnica: “La commissione Cassese ha fatto un quadro generale, ora in via stabile deve occuparsene un dipartimento. Anche perché è un lavoro tecnicamente complicatissimo: dovranno prendere i 23 oggetti di autonomia, spacchettarli in materie, e per ciascuna stabilire quali sono i Livelli essenziali delle prestazioni”.

Nel concreto, “probabilmente dei contenuti dovranno occuparsi i singoli dipartimenti tecnici: devi chiedere al ministero delle Infrastrutture qual è il livello minimo in materia di porti o aeroporti, alla Protezione civile per questa materia, all’Istruzione per gli asili nido…”. Insomma, per completare il lavoro si Lep “servono tecnici delle singole materie, non possono essere cinquanta professori a definire tutti i livelli”.

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