La verità – nota la rivista liberista inglese – è che poche aziende la utilizzano realmente per lavori importanti. E in genere preferiscono usare l’AI per aiutare un lavoratore a svolgere il proprio lavoro più velocemente, invece che per licenziarlo.

Ci sono studi a conforto di quest’analisi. L’AI non sta dando i risultati sperati e questo è un freno per la sostituzione dei lavoratori o un blocco delle assunzioni. Un sondaggio Ibm ha rilevato che tre iniziative di AI su quattro non riescono a garantire il Roi (ritorno sull’investimento) promesso. Uno studio del National Bureau of Economic Research sui lavoratori dei settori esposti all’AI ha rilevato che la tecnologia non ha avuto quasi alcun impatto sui guadagni o sulle ore lavorate.

Secondo S&P Global, un fornitore di dati, la percentuale di aziende che abbandonano la maggior parte dei loro progetti pilota di IA generativa è salita al 42%, rispetto al 17% dello scorso anno. Il capo di Klarna, un fornitore svedese di servizi “compra ora, paga dopo”, ha appena ammesso di aver esagerato nell’uso della tecnologia per tagliare i posti di lavoro nel servizio clienti e ora sta riassumendo personale umano per ricoprire tali ruoli. Secondo McKinsey, l’adozione dell’AI generativa potrebbe incrementare la produttività del lavoro solo tra lo 0,1% e lo 0,6% all’anno entro il 2040, a seconda del livello di adozione e della riorganizzazione delle mansioni lavorative.

Ma allora che si fa, in questa confusione? Molti esperti suggeriscono comunque, ai giovani, di tenere presente la questione. Demis Hassabis, capo di Google Deepmind e Nobel per la Chimica, suggerisce di insistere con gli studi Stem – competenze comunque importanti – e al tempo stesso lavorare sulle “metacompetenze”, tipicamente umane: senso critico, creatività, flessibilità, capacità relazionali, “imparare a imparare”.

Non è molto chiara come indicazione ma, nella notte, anche una lucina può fare la differenza nel cammino.

Condividere.
Exit mobile version