Si ricorda che molti grandi editori di libri e giornali (tra cui il New York Times) e singoli autori (di libri e prodotti grafici) hanno denunciato i big dell’AI, OpenAi in testa.

Non è chiaro quando ci saranno le prime sentenze e se arriveranno; è possibile che alcuni procedimenti finiranno in patteggiamento.

L’industria musicale però, secondo alcuni esperti, ha carte migliori da giocare per difendere i propri interessi. Sia per la sua maggiore forza economica, da far valere nelle cause, sia perché sarebbe più facile dimostrare il plagio in ambiente musicale rispetto a quello letterario o giornalistico.

Una vittoria dell’industria musicale metterebbe fuori gioco le attuali aziende dell’IA e forse potrebbe essere un precedente utile anche in cause in corso in altri settori. Ma potrebbe anche favorire la nascita di un rapporto più sano tra IA, mercato e autori. È un concetto emerso anche nel Medimex di giugno, a Taranto, in un tavolo con esponenti di Fimi, Sony, Siae e artisti. E che appare controluce anche nella denuncia Riaa.

“L’IA è promettente e pericolosa al tempo stesso”, si legge. “Con l’emergere di strumenti di IA sempre più potenti e sofisticati, cresce la capacità dell’IA di inserirsi nei processi di creazione, produzione e distribuzione della musica. Se sviluppati con il permesso e la partecipazione dei titolari dei diritti d’autore, gli strumenti di IA generativa saranno in grado di assistere gli esseri umani nella creazione e nella produzione di musica nuova e innovativa”. “Ma se sviluppati in modo irresponsabile, senza tenere conto delle tutele fondamentali del diritto d’autore, questi stessi strumenti minacciano danni duraturi e irreparabili agli artisti discografici, alle etichette discografiche e all’industria musicale, riducendo inevitabilmente la qualità della nuova musica disponibile per i consumatori e diminuendo la nostra cultura condivisa”.

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