Giunta al terzo giorno, la couture parigina torna finalmente a sperimentare. «Nessuno ha bisogno della couture, ma la couture è una esperienza dell’indossare i vestiti», dice Demna a conclusione del defilé di Balenciaga: il quarto dalla riapertura dell’atelier di Avenue George V, il meno archivistico, il più vicino al suo personale sentire, cupo alquanto e intriso di varie oscurità subculturali.

È la stessa estetica sulla quale Demna ritorna ormai da anni nel prêt-à-porter della maison, rivista attraverso il tecnicismo e lo squisito virtuosismo, ma anche la gestualità e il manierismo, dell’alta moda. Il risultato affascina e respinge allo stesso tempo. Affascina per la verve modernizzatrice, in una stagione di couture intenta piuttosto a conservare, guardando i dietro. Attrae per le capacità di fondere una visione che nasce nella strada, o nell’underground, all’elitarismo più assoluto, sicché la T-shirt da concerto, ad esempio, è doppiata di seta scuba e dipinta a mano, e così i jeans, ma all’apparenza il loro significato e ragion d’essere non muta, anche se le maniche sono a ¾ e il profilo della silhouette è a bozzolo. Impensierisce per la sostanziale abiura all’idea che la haute couture possa contribuire all’educazione estetica dei clienti: qui ci si rivolge a chi già compra Balenciaga, ma ha un più elevato potere di spesa.

Respinge perché Demna, che quasi a schermirsi punta il dito sulla rigorosa continuità estetica di Cristobal ed è anche lui creatore che si muove intorno a un nucleo compatto di idee, sembra aver rinunciato ad esplorare altre nuance del proprio mondo, incagliandosi sulla reiterazione di tropi ormai esausti. Si ammira però la possanza della realizzazione, mentre l’effetto di questi abiti in quel salone è di un monumentalismo ruvido e scabro. La rigidità, invece, è soverchia.

Quanto a rigidità Viktor & Rolf certo non scherzano, ma hanno anche un sense of humor sardonico e irridente che, nella moda di oggi, è una rarità. La couture, per il duo olandese, è un territorio di pura espressione creativa, privo di reali implicazioni commerciali, e questo li lascia liberi di scatenare la fantasia. Quel che sorprende, sempre, è la qualità dell’esecuzione, cosi alta da schivare il carnevale a favore della pièce concettuale. A questo giro è tutto un Lego di volumi scatolari e acuti, di forme a parallelepipedo, in un esplodere di colori acrilici e lustrini, tra Spongebob e Klaus Nomi, con un po’ di Cinzia Ruggeri e Liquid Sky ad amalgamare il tutto. Il risultato è angoloso ed esilarante.

Da Jean Paul Gaultier Haute Couture, infine, il designer ospite della stagione è il capace Nicolas Di Felice, responsabile dei recenti successi di Courreges. L’incontro tra la sensualità affilata e disinibita di Di Felice e l’irriverenza parigina, nonchè i corsetti, di Gaultier è una crasi di architettura e seduzione risolta in un liquefarsi di forme che si aprono e rivelano, con i gancetti da reggiseno usati, insieme, per creare drappeggi e come elementi di ricamo, il tailoring maschile sciolto in avvolgimenti spiraliformi, e gli occhiali-velo che nascondono il volto ma lo lasciano intuire in trasparenza: «Non ho voluto ricreare gli stilemi di Gaultier – spiega Di Felice -, ma omaggiare lo spirito di questa maison, ossia l’idea che a Parigi si può essere ciò che si vuole».

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