Accelerare l’import di commodity dagli Stati Uniti, in particolare di prodotti per i quali l’Italia è deficitaria. Ricerca di una collaborazione ad ampio raggio sulle tecnologie di agricoltura 5.0 come anche sulla ricerca genetica ma nessuna concessione sul fronte della tutela delle indicazioni geografiche.
È il risultato di una ricognizione promossa dal Sole 24 Ore presso le principali organizzazioni agricole italiane in vista di un possibile negoziato Ue-Usa nell’ottica di far rientrare la minaccia dazi.
Il punto è che è difficile continuare a chiedere libertà di accesso al mercato Usa senza al tempo stesso aprire a qualche concessione. E fino a poco fa l’atteggiamento degli agricoltori italiani ed europei è stato di totale chiusura su tutte le principali richieste agricole di Washington: no agli Ogm, no all’import di cereali trattati con il glifosato, no alla carne agli ormoni e – soprattutto – no alla liberalizzazione dei nomi di Dop e Igp quindi no al Parmesan e all’Asiago made in Usa.
Ma dopo i primi mesi di dazi e di fronte alle scarse possibilità di sostituire un mercato di sbocco come gli Usa (poco meno di 8 miliardi di export alimentare made in Italy, 1,9 solo di vino) gli orientamenti stanno cambiando.
Importante è stata la recente bilaterale che il ministro dell’Agricoltura Lollobrigida ha avuto con la segretaria all’Agricoltura Usa, Brooke Rollins. Al termine dell’incontro la “ministra” americana ha chiesto: perché importate mais e soia da Brasile e Ucraina invece che dagli Usa?