Questo è un pezzo metodologicamente sbagliato, ve lo anticipiamo. Perché accetta consapevolmente il ribaltamento dei ruoli, ovvero giustificarsi di fronte a domande e accuse di chi detiene il potere; perché accetta un confronto in cui è invertito l’onere della prova, dando risposte ad attacchi generici e non circostanziati; infine, perché accetta i rischi dell’effetto Streisand, quello di amplificare bugie e mistificazioni. Però, di fronte all’inaudita gravità di quanto accaduto in queste ore, crediamo sia un pezzo necessario, per fissare dei concetti e fare quello che abbiamo scelto da sempre: raccontare i fatti, in modo dare ai nostri lettori le coordinate per interpretare la realtà e farsi un’opinione.

Andiamo ai fatti, allora. Dopo una seduta piuttosto complicata del Consiglio Europeo, nella quale è emersa la scelta dell’Italia di non votare le tre più importanti cariche dell’UE (astensione su von der Leyen, contrarietà a Costa e Kallas), a notte inoltrata Giorgia Meloni ha tenuto un punto stampa con i cronisti che erano a Bruxelles. Superate le domande di rito sulla forte e gravida di conseguenze decisione di isolare politicamente il nostro Paese, la presidente del Consiglio ha risposto alle nostre domande sull’inchiesta Gioventù Meloniana, che appunto riguarda la giovanile del suo partito. Una piccola anomalia, data l’allergia alle domande, alle interviste e alle conferenze stampa dimostrata in questi mesi al governo.

Ora fermiamoci un attimo, perché prima di analizzare le sue risposte dobbiamo fare un veloce riassunto delle puntate precedenti. Dopo la pubblicazione della prima parte dell’inchiesta, infatti, la strategia utilizzata da Fratelli d’Italia era stata quella del silenzio. Con l’aiuto disinteressato dei giornali di area e le casuali amnesie del servizio pubblico, i dirigenti del partito che governa il nostro Paese avevano cercato di dare la minore visibilità possibile ai saluti romani, agli inni al Duce, ai Sieg Heil e agli altri gravissimi elementi che erano emersi nel primo servizio del team Backstair. Solo il ministro Ciriani era stato costretto a parlarne, obbligato da un’interrogazione parlamentare: ne era venuta fuori una difesa improponibile dei giovani di Fdi, con passaggi che sfioravano il ridicolo. Strategia che aveva funzionato solo in parte, dunque: se in televisione e sui giornali, tranne alcune rilevanti eccezioni, dell’inchiesta non c’era traccia, sui social e grazie al passaparola si raggiungevano numeri da record. Stando solo ai nostri canali di distribuzione interni, parliamo di circa 12 milioni di visualizzazioni per la video inchiesta (appunto senza contare tutti i contenuti ricaricati o su altri media), più quasi un milione sui pezzi correlati.

Un interesse enorme, che ha determinato anche l’arrivo alla nostra redazione di altre segnalazioni e contatti. Materiale che, opportunamente verificato dai giornalisti del team Backstair, ci ha consentito di chiudere in tempi brevi anche la seconda puntata dell’inchiesta, che abbiamo deciso di proiettare in anteprima in un evento pubblico a Roma e di rilasciare in Creative Commons (con un’incredibile partecipazione di pubblico). Uno degli elementi della seconda parte è senza dubbio la presenza di riferimenti antisemiti e razzisti da esponenti di Gioventù Nazionale con stretti legami con i maggiorenti di Fratelli d’Italia. È un piccolo game changer, perché dirigenti e parlamentari capiscono di non poter continuare a tenere la testa sotto la sabbia e di dover quantomeno esprimere vicinanza e solidarietà alla senatrice Mieli, vittima di quel doppio registro (pulito e moderato in pubblico, alquanto “diverso” nei discorsi tra i militanti) che è uno dei fili conduttori dell’intera inchiesta.

Dunque, la strategia cambia ed è ragionevole pensare che sia arrivata un’indicazione proprio da Palazzo Chigi. Donzelli, La Russa e altri autorevoli esponenti del partito esprimono la loro solidarietà a Mieli, ribadiscono che non c’è spazio per l’antisemitismo in Fdi e annunciano provvedimenti nei confronti dei soggetti che “hanno sbagliato”. Arriva qualche dimissione, anche la comunità ebraica si esprime. Tutto d’un tratto, prendono a parlarne i giornali di area (addirittura quei siti che avevano scelto di adeguarsi alla consegna del silenzio malgrado l’evidente rilevanza pubblica dell’inchiesta), la vicenda comincia a essere di interesse anche del servizio pubblico.

Nemmeno questa strategia funziona, però. Perché i contenuti dell’inchiesta sono forti, vengono condivisi ovunque e ripresi dalle maggiori testate internazionali. Non esattamente il massimo per Meloni, dato il contesto. Così si cambia ancora, c’è un nuovo piano. Ora si punta a delegittimare il lavoro dei giornalisti, rispolverando i grandi classici del taglia e cuci e delle ore di girato (ma ci torneremo), mistificando i contenuti, oppure giocando la carta del vittimismo spinto. C’è una tecnica consolidata, quella del whataboutism, che serve a fare confusione e a spostare l’attenzione. E c’è ovviamente la menzogna sistematica, soprattutto sui profili social, che si esplica in bufale rilanciate da politici di primissimo piano. Una su tutte, l’accusa a Fanpage di aver “invitato a sparare” sui giovani di Gioventù Nazionale, costruita prendendo a pretesto tre secondi di colonna sonora di una story Instagram del profilo del locale che ha ospitato l’evento di Roma. Una story mai condivisa o rilanciata dai profili ufficiali di Fanpage. Una calunnia che ha avuto ampia diffusione, senza che noi avessimo la possibilità di smentirla o difenderci in qualche modo.

Tutto sommato, comunque, una reazione prevedibile e anche comprensibile. Finché non è arrivata direttamente lei, Giorgia Meloni. Che ha ribaltato tutto e ha scritto una pagina nuova dell’intera storia.

Cosa ha detto Giorgia Meloni, punto per punto

La prima parte della risposta di Meloni alla nostra domanda di commentare le immagini dell’inchiesta è standard: “Penso che chi ha sentimenti razzisti, antisemiti o nostalgici semplicemente abbia sbagliato casa, perché questi sentimenti sono incompatibili con Fratelli d’Italia, con la destra italiana e con la nostra linea politica. Non accetto che ci siano ambiguità e ho chiesto al partito di prendere provvedimenti”.

Come notato da molti, a prescindere dall’aver dimenticato la parola fascismo, se si fosse fermata qui, non ci sarebbe stato nulla da eccepire: posizione forte, chiara, più che legittima, da leader. Ma evidentemente Meloni aveva altre intenzioni. E continua: “Penso che se la stessa inchiesta, se vogliamo chiamarla inchiesta giornalistica, si facesse in tutte le organizzazioni giovanili dei partiti politici, noi non sappiamo cosa potrebbe uscire. E non lo sapremo, perché nella storia della repubblica italiana non è mai accaduto quello che Fanpage ha fatto con Fratelli d’Italia, con nessuna organizzazione giovanile, con nessuna organizzazione sindacale. Non si è mai ritenuto di infiltrarsi in un’organizzazione politica e riprenderne segretamente le riunioni…

Questo passaggio, che la presidente del Consiglio ripeterà più volte e con enfasi crescente nel corso del colloquio con i giornalisti, è prima di tutto una falsità. Una balla.

Senza voler ricordare illustri esempi del passato di giornalisti che hanno documentato dall’interno riunioni di partito o assemblee sindacali, proviamo a rimanere sul lavoro di Fanpage. E vale la pena di ricordare che il metodo undercover (l’infiltrazione di cui parla Meloni e che ha decine di esempi nel mondo del giornalismo, soprattutto anglosassone) lo abbiamo già usato diverse volte per documentare le attività di altre formazioni politiche. Sorpresa, principalmente per il Partito democratico: con nostri giornalisti infiltrati, infatti, abbiamo più e più volte documentato la poca trasparenza delle primarie del Pd e finanche dimostrato l’inaffidabilità del sistema di controllo dei risultati elettorali. Allora, evidentemente gli esponenti di Fratelli d’Italia non avevano trovato nulla da obiettare. E gli stessi giornali della destra facevano a gara per riprendere i nostri servizi sul voto multiplo. Certo, meno contenti erano stati quando avevamo mostrato cosa accadeva in UGL, sul versante tesseramento e gestione dei conti, ma in quel caso possiamo pure capirlo.

Vedete, anche senza affrontare una discussione sul metodo undercover (che ha piena dignità in campo giornalistico e necessita di scrupolo, competenze e attenzione), il punto è che chi fa il nostro lavoro ha il dovere di cercare di far luce laddove la luce non c’è. Nel caso in questione, abbiamo mostrato un aspetto che riteniamo di estrema rilevanza pubblica: il doppio volto di un’organizzazione interna al partito che governa il nostro Paese, la fucina della futura classe dirigente. Il fatto che alla luce delle camere e davanti ai taccuini dei giornalisti mostrino un volto rassicurante e costruito, mentre restano ancorati a simboli e ideali che hanno devastato il nostro Paese e non solo, è per noi un elemento di interesse pubblico. Il lavoro giornalistico deve mostrare i fatti, nel loro contesto e nella loro dimensione adeguata: il metodo undercover ha reso possibile tutto ciò. Peraltro, ci sono diverse sentenze della CEDU che riconoscono la legittimità del metodo, quando esso è applicato a inchieste di pubblico interesse.

Meloni continua: “Prendo atto che questa è una nuova frontiera dello scontro politico, anche per come la politica lo ha utilizzato. Prendo atto che da oggi nello scontro politico è possibile infiltrarsi nei partiti e nelle organizzazioni sindacali, riprenderne segretamente le riunioni e pubblicarle discrezionalmente […] Quindi è uno strumento che sicuramente si potrà utilizzare a 360 gradi”.

Qui occorre fare attenzione, perché la presidente del Consiglio alza il tiro. Non solo mette in discussione il metodo, ma lo cala nello scontro politico. Il giochino è interessante, ma è appunto un esercizio retorico: si vuole far passare il concetto che il nostro giornale agisca direttamente come o per conto di forze politiche di opposizione a Fratelli d’Italia. In effetti, se qualcuno violasse la sacralità di partiti e sindacati per tornaconti politici o per metterne in crisi i processi democratici, si tratterebbe di un fatto gravissimo. Noi, però, facciamo i giornalisti. Lavoriamo nella direzione dell’esclusivo e supremo interesse del lettore, raccontando fatti veri e non ci prestiamo a strumentalizzazioni di natura politica, attenendoci a precise regole deontologiche. Peraltro, la parte finale del discorso di Meloni è abbastanza criptica e non capiamo come interpretarla. Suona come una minaccia, del tipo: ora cominciamo a farlo anche noi. I giornalisti? O intende infiltrare delle persone negli altri partiti? In quel caso le consigliamo di riflettere sulla differenza tra chi ha il potere politico e chi quel potere lo racconta. Tra un politico e un giornalista.

La leader di Fratelli d’Italia è un fiume in piena: “Perché in 75 anni di storia repubblicana nessuno ha ritenuto di infiltrarsi in un partito politico e riprenderne segretamente le riunioni. È consentito? Lo chiedo a lei, lo chiedo ai partiti politici, lo chiedo al Presidente della Repubblica?”

Già detto che quella dei 75 anni eccetera è poco più di una balla, qui però siamo al salto di livello. Perché la presidente del Consiglio di un Paese del G7, una delle grandi democrazie occidentali, si rivolge direttamente al Capo dello Stato per chiedere di intervenire su un’inchiesta di un giornale indipendente che ha mostrato la proliferazione di saluti fascisti, riferimenti a Hitler e Mussolini, insulti antisemiti e razzisti nelle fila della giovanile del partito che governa il Paese.

Siamo in presenza di un fatto inusitato e gravissimo, un’intimidazione alla stampa e un modo indecente di tirare per la giacca il Presidente della Repubblica. Cosa immagina che debba fare Sergio Mattarella? Mandarci una nota di biasimo per aver documentato i Sieg Heil o gli inni al duce? Magari Meloni potrebbe essere più specifica, avere per una volta il coraggio delle proprie azioni: cosa si aspetta che faccia il supremo garante della Costituzione? Che la vìoli?

Sa perché glielo dico? Perché questi sono i metodi che usavano i regimi, infiltrarsi nei partiti politici

Qui Meloni deve aver perso per un attimo la lucidità, perché opera una totale inversione della realtà: i regimi intervengono per censurare e limitare la libera stampa, attaccando e intimidendo i giornalisti proprio perché non vadano a guardare cosa c’è dietro la versione ufficiale e approvata dal governo.

La presidente poi scende nel dettaglio su alcuni aspetti dell’inchiesta: “Non è un metodo giornalistico, sono stati usati degli investigatori”. Molto sinteticamente: è l’ennesima balla. L’inchiesta è stata realizzata dai giornalisti di Backstair e sostenuta dalla redazione di Fanpage.it. L’accusa di aver usato “investigatori” non ha alcun fondamento.

Prima ancora aveva detto che avevamo “ripreso i fatti personali di minorenni”, agganciandosi alle dichiarazioni incredibili di Donzelli secondo cui avremmo seguito “negli affetti personali” e nell’intimità alcuni minorenni. Questa non solo è una balla, come può verificare chiunque guardi i filmati, ma è una calunnia vergognosa. Fanpage.it non solo non ha pubblicato immagini di minorenni, né in chiaro né blurati, ma non detiene riprese di fatti o affetti personali. Anche qui, vi segnalo una cosa piuttosto singolare: Meloni parla di “denunce dei loro genitori” e sarebbe interessante conoscere la provenienza di tale informazione e se l’abbia verificata prima di lanciare accuse tanto infamanti. Se ha utilizzato le stesse fonti di Donzelli, che conosce dettagli sorprendenti e non pubblicati della nostra inchiesta, avremmo la conferma che il nostro lavoro riguarda davvero dirigenti di primo livello della giovanile, molto addentro alle dinamiche del partito. Altro che tifosi della Casertana, insomma.

Andiamo avanti, occupandoci di uno dei cavalli di battaglia della destra italiana contro i giornali, da sempre: “Se lei infiltrasse l’organizzazione giovanile di un partito che dice pubblicamente che è legittimo occupare abusivamente le case e che oggi chiede lo scioglimento di Gn […] lei potrebbe anche trovare qualcuno che dice delle cose sbagliate”.

Questa è la versione riveduta e corretta de “perché non fate un’inchiesta sui centri sociali”. Sugli altri partiti, però, Meloni può stare tranquilla, perché si riferisce al giornale che per primo ha sollevato la vicenda Soumahoro, con un’inchiesta molto dettagliata e in più fasi, pubblicata prima delle elezioni proprio nell’idea che i cittadini abbiano il diritto di avere a disposizione tutte le informazioni per farsi una loro opinione. Per quel che riguarda i centri sociali (quali? Di che tipo? Meloni ha informazioni di attività illecite o pericolose per la democrazia in qualcuno di essi? Ipotizza possibili violazioni della Scelba o della Mancino?), scegliamo di non prestarci alla tecnica della confusione tanto cara a chi è in difficoltà e decide di buttarla in caciara. Da giornalisti ci occupiamo di notizie da qualunque parte provengano, senza interessi o tornaconti politici. Ma non possiamo avallare l’equiparazione fra un centro sociale X di una città Y e le attività in diverse parti d’Italia della giovanile del partito che ha in mano le redini del Paese. Meloni lo accetti: il potere porta con sé anche la responsabilità di essere oggetto privilegiato dell’interesse della stampa, proprio in virtù del peso che si ha nella vita dei cittadini quando si è al governo.

Avete fatto due inchieste nella vostra storia su questo tema e le avete fatte su Fratelli d’Italia. Una, voglio ricordare, è finita con un’archiviazione di un esponente politico la cui vicenda è stata sui giornali a lungo e poi si è scoperto che non c’era niente”.

Come detto in precedenza, la tesi che ci occupiamo solo di Fratelli d’Italia è semplicemente falsa. La Presidente del Consiglio in questo passaggio ricorda Lobby Nera, l’inchiesta con la quale riuscimmo a documentare la permeabilità dei partiti della destra a personalità e formazioni nostalgiche del fascismo. Lo fa con una consapevole mistificazione dei fatti, confondendo inchiesta giudiziaria e giornalistica. Nel primo caso, l’archiviazione della posizione di Fidanza era inevitabile, anche perché, come hanno scritto i giudici, non era mai stata nostra intenzione corrompere nessuno, dunque non sarebbe stato possibile la configurazione di qualunque reato (ne ho scritto più dettagliatamente qui). L’inchiesta giornalistica invece resta in tutta la sua rilevanza ed efficacia, il girato integrale è stato giudicato coerente con quanto pubblicato dalla stessa magistratura e, sorpresa delle sorprese, in realtà non era nemmeno su Fratelli d’Italia. Eravamo infiltrati in una lobby di estremisti di destra e nostalgici: sono loro che ci hanno portato a iniziative elettorali di Fratelli d’Italia e a conoscerne esponenti di primissimo piano dei partiti ora al governo (anche della Lega). Noi volevamo solo occuparci di fascisti, ecco.

Quando si è chiesto anche di poter avere tutte le informazioni relative a questo caso, ci avete risposto di no”.

È il refrain delle “100 ore di girato”, diventato iconico e riproposto in chiave diversa anche stavolta. Su questo abbiamo risposto più volte, cito: “Noi non rispondiamo a una leader di partito, ma ai nostri lettori, verso i quali abbiamo obblighi di natura morale e deontologica. Ci sono prerogative che Meloni non ha, tra queste la possibilità di acquisire la documentazione, il materiale di lavoro e le informazioni sulle fonti di un giornalista. Difendere la nostra posizione è difendere un principio. Le immagini che abbiamo mandato in onda sono frutto di un lungo lavoro di documentazione e analisi; i tagli, le riduzioni e montaggio sono operazioni giornalistiche di cui il giornale si assume come sempre la responsabilità”.

Come avevamo anche detto dopo la prima puntata, sarebbe poi piuttosto complicato manipolare un coro per il duce, una distribuzione di adesivi con motti fascisti. A meno che qualcuno non ci dica come andrebbe contestualizzato o deframmentato un “Sieg Heil”, ecco.

Quando gli chiediamo, infine, perché non ci ringrazia per aver mostrato la pervasività di tali pratiche nella giovanile del suo partito, Meloni torna a parlare del metodo. Peccato che, qualche anno fa, quando le mostrammo l’inchiesta Bloody Money, che riguardava diversi esponenti politici, lei ci rispose: “Le immagini mi fanno capire quali sono le responsabilità di questa persona e speriamo di avere ulteriori elementi per fare chiarezza”. In quel caso, l’undercover andava bene.

Infine, da ultimo l’accusa che noi riteniamo peggiore, la più ingiusta. Lei dice: “Se ci sono delle forme di condizionamento rispetto al fatto di iscriversi al partito, di farne parte liberamente […] Lei capisce che un ragazzo che vuole iscriversi alla giovanile di odi può essere spaventato […] È o non è un condizionamento della democrazia?

Ecco, senza girarci troppo intorno, noi abbiamo realizzato questo lavoro anche grazie alle testimonianze di ragazzi di destra che sono usciti schifati e sconcertati da quello che hanno visto in Gioventù Nazionale. E che ci hanno spiegato quale fosse il rischio di radicalizzazione e indottrinamento verso una dimensione che rimanda alle pagine peggiori della storia europea. Noi crediamo di aver tutelato l’impegno dei tanti ragazzi di destra che del fascismo e del nazismo hanno l’idea chiara e corretta: ideologie che non devono trovare spazio nel dibattito politico e che sono fuori dall’arco costituzionale.

Infine, ce lo consenta, Presidente. Il pericolo di condizionamento della democrazia non viene da un’inchiesta giornalista. Ma dall’avere i fascisti nel proprio partito.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell’area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.

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